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GREG LAKE |
Greg Lake / Manoeuvres |
Chrysalis |
1981 / 1983 (Creative Musical Arts 2015) |
UK |
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La dissoluzione del matrimonio con i compagni di un decennio, Emerson e Palmer, ebbe un effetto di enorme disorientamento per Greg Lake, che si trovò al bivio tra due possibilità, entrambe traumatiche: entrare in una band, magari con le stesse mire virtuosistiche degli ELP, e ritrovarsi nuovamente in balia di scelte artistiche e commerciali altrui, o scegliere la strada della carriera solistica, addossandosi appieno tali responsabilità. Grazie alle sue connessioni e conoscenze accumulate in anni di posizione privilegiata nel music business, il nostro inizia a sondare il terreno agli albori degli anni '80, chiamando a sé (o meglio, girovagando tra studi di registrazione inglesi e californiani e infine costruendone uno tutto suo in un mulino ristrutturato) alcuni dei migliori turnisti dell'epoca, registrando a Los Angeles una serie di brani con i Toto quasi al completo, coinvolgendo membri di band già sotto contratto Manticore: Stray (il chitarrista Snuffy Walden) e Spontaneous Combustion (il bassista Tristram Margetts), fino all'incontro che più di ogni altro segnerà questi due primi episodi solisti di Greg, finalmente ristampati in un doppio CD. Sarà infatti la collaborazione con Gary Moore (anche lui fresco di divorzio dai Thin Lizzy e con una carriera solistica agli albori) a dare lo spunto per la scrittura dei brani e ad accelerare il lavoro in studio: i due si scoprono in totale sintonia e Lake decide infine di puntare su un suo brano “Nuclear attack” per introdurre l'album. Altri partner saranno il tastierista Tommy Eyre (già con Joe Cocker e Sensational Alex Harvey Band), anche coautore di una manciata di brani e Ted McKenna (batterista con Rory Gallagher), oltre ad ospiti quali Clarence Clemons, sassofonista della E Street Band, il vecchio sodale Mike Giles o il batterista degli England, Jode Leigh. Greg deciderà infine, sempre in segno di rottura col passato, anche quello crimsoniano, di abbandonare totalmente il basso ed assumere il ruolo di secondo chitarrista. Considerando quella che è spesso la percezione del ruolo di Greg negli ELP, sarà stato uno shock per chi immaginava un album di ballate essere travolti dal durissimo riff che apre l'album, ma ancor più la constatazione che il lavoro è principalmente costituito di brani tendenti ad un rock'n'roll senza fronzoli ma con inflessioni hard e boogie (“Love you too much”, ripescaggio di un pezzo incompiuto di Dylan) ed episodi in linea con l'AOR imperante all'epoca (pensiamo appunto ai Toto, ai Foreigner o ai Journey), come “Retribution drive” o “The lie”. Sia chiaro, non mancano certo episodi di romanticismo, a volte anche fin troppo edulcorati (“It hurts”), altre volte piacevoli (“Black and blue”) ma tutto ciò avviene in un contesto “americanizzato”, ormai avulso da ogni contaminazione progressive rock, genere probabilmente considerato fuori moda sia dalla Chrysalis, che decide di scommettere sulla nuova carriera di Greg, sia – forse – dall'artista stesso, che nelle note di copertina di questa ristampa ammetterà però l'errore di valutazione. Con tutti i limiti esposti, e malgrado soffra di una certa mancanza di consistenza e coesione, l'album è ottimamente suonato, il virtuosismo di Moore lo pervade, sia pure concentrandosi sul lato più heavy del suo sfaccettato stile (nessuna traccia di folk celtico o blues) e la voce immutata di Lake occasionalmente risplende, specialmente in alcune ballate (“Let me love you once”). Tra le tre bonus tracks qui presentate, desta una certa curiosità l'esperimento rhythm'n'blues di “You really got a hold on me”, presentata nell'arrangiamento che i Beatles concepirono trent'anni prima per il celebre brano di Smokey Robinson. Due anni dopo, rodata dall'esperienza live, testimoniata postumamente nella registrazione al King Biscuit Flower Hour, la stessa band torna in studio per registrare “Manoeuvres”, in cui anche la formula dell'esordio è confermata, malgrado lo sconcerto della Chrysalis nel constatare volumi di vendite assolutamente non paragonabili al successo degli ELP. La title track apre il disco in modo speculare al precedente, con un assalto chitarristico e testi basati attorno ad un'idea (molto anni '80) di scenario post-apocalittico. Abbiamo di nuovo alcuni brani di maniera – per non dire banalotti – come i rocker “Too young to love”, “Paralysed”; altro discorso per “Don't wanna lose your love tonight”, che nella sua semplicità si fa almeno apprezzare per l'interazione tra le chitarre e l'organo di Eyre, memore forse dei Deep Purple; l'intensa ed emozionale “Haunted” contrapposta alla zuccherosa ballata “A woman like you”, che pare uscire dalla penna dei tardi, addomesticati Eagles. La pressione dell'etichetta discografica forza Greg ad inserire in scaletta la cover di “Famous last words” (di Andy Scott degli Sweet) come potenziale hit-single, intenzione fallita e brano anonimo, mentre occorre aspettare la fine del CD (che non rispecchia l'originale running order del vinile) per poter apprezzare il brano che ne costituisce senza dubbio l'episodio migliore: “It's you, you gotta believe”, con la voce di Greg finalmente ariosa e coinvolgente quasi come ai tempi gloriosi, riecheggiati in parte anche dall'arrangiamento sinfonico di Hammond e sintetizzatori analogici. Peccato sia solo una parentesi, una delle svariate direzioni musicali intentate. La carriera solistica di Greg finirà praticamente qui, interrotta dal coinvolgimento in una lineup degli Asia dalla vita breve, nella collaborazione con Geoff Downes che produrrà i brani di “Ride the tiger”, negli Emerson, Lake & Powell, nelle reunion a più riprese degli ELP: si ripresenterà infine su un palco, in solitudine, trent'anni più tardi per il tour autocelebrativo “Songs of a lifetime”. La ristampa in questione, arricchita da un booklet corredato da esaustive note e riflessioni dello stesso artista, costituisce l'occasione per rivisitare con maggior distacco ed obiettività un periodo di transizione ed incertezza nella carriera di un pilastro portante del nostro genere musicale preferito.
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Mauro Ranchicchio
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