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EMERSON, LAKE AND POWELL The complete collection Spirit of Unicorn Music 2024 UK

C’erano una volta gli Emerson, Lake & Palmer… Un’introduzione davvero scontata, che però diviene un pensiero nostalgico dopo aver sentito questo album del 1986, curiosamente formato ancora una volta dal vecchio acronimo ELP. Già, erano gli anni ’80, frutto dei cambiamenti repentini verificatisi in conclusione del decennio precedente: punk, new-wave et similia avevano più o meno azzerato tutto, era una vera e proprio pars destruens di Hegeliana memoria. Lo sfarzo e la complessità che avevano reso grandi certe compagini venivano rasi al suolo, in favore di qualcosa che da definire “sintetico”, inteso sia come capacità di sintesi che di sound vero e proprio. Colossi del progressive-rock come Genesis, Yes e King Crimson avrebbero adeguato la propria musica ai canoni sopra descritti, anche grazie a drastici (volenti o nolenti) cambi di formazione. E nonostante tutto non se la sarebbero passata poi così male, soprattutto da un punto di vista delle vendite (la valutazione qualitativa delle relative proposte rimane assolutamente soggettiva). Keith Emerson e Greg Lake si sarebbero ritrovati momentaneamente orfani del batterista Carl Palmer, impegnato con gli Asia, anche se lo stesso Palmer dirà poi che in fin dei conti si sarebbe dovuto attendere solo qualche settimana perché lui si liberasse. Dalle audizioni pare che passino anche Bill Bruford e Simon Phillips, ma alla fine il prescelto sarà proprio l’ex Rainbow e Whitesnake, che per ironia della sorte aveva un cognome che cominciava come quello dell’illustre predecessore. I diretti interessati parleranno di casualità, ma si era intanto ricreato un certo interesse per il genere, soprattutto col successo dei Marillion in ambito neo-prog, e agli inizi degli anni ’90 i due vecchi progster ricorderanno il momentaneo ex collega come colui che non sapeva suonare “Pirates”…
Digressioni storiche a parte, necessarie per inquadrare il contesto, l’iniziale “The Score” sembra proprio voler coniugare la magniloquenza della band madre con l’approccio eighties; l’impatto iniziale è in effetti riuscito, con Greg Lake che praticamente urla nel microfono mentre gli altri due ci danno dentro di brutto, ma nell’arco di oltre nove minuti la traccia diventa esasperante nel suo essere ripetitiva. Tanto che in questa ristampa viene anche aggiunta una versione single, accorciata di tre minuti, ma non si riesce proprio a capire quali siano questi fantomatici minuti mancanti. Lasciando perdere “Learning To Fly” – che potrebbe essere ascoltata solo per l’inciso a metà brano – e quasi tutto quello che viene dopo, occorre menzionare “Touch and Go”, perché in un modo o nell’altro andrà in futuro a influenzare realtà come quella degli Ayreon, e la tanto jazzata quanto notturna “Step Aside”. Non malaccio la ballata “Lay Down Your Gun”, decisamente pacifista, curiosamente seguita da “Mars, The Bringer Of War”, riproposizione di “Marte, il portatore di guerra” di Gustav Holst, solenne e monolitica. Vengono qui poi inseriti, oltre al pezzo editato di cui sopra, anche i due b-sides della ristampa datata 1991.
Nel 2003 verrà pubblicata la raccolta “The Sprocket sessions”, nastri di prova registrati negli Sprocket studios nel 1986, una sorta di bootleg ufficiale, qui riproposto nel secondo dischetto. Per quanto l’incisione non sia ovviamente eccezionale, la mancanza di “patina pesante” rende “The Score” sicuramente migliore. Lasciamo decisamente perdere gli altri due brani successivi. Seguono poi le riproposizioni di alcuni grandi classici degli ELP, tra cui “Tarkus” che si ferma dopo “soli” dieci minuti e l’incriminata “Pirates”. Esclusivamente per collezionisti incalliti.
Durante lo stesso anno viene pubblicato “Live in concert” – poi ripubblicato nel 2012 assieme alle sessions – che qui occupa il terzo ed ultimo CD. Nemmeno a dirlo, aperto da “The Score”. Nonostante tutto, la lunga composizione sembra funzionare dal vivo, in una dimensione che si rivela congeniale a tutti e tre i musicisti. Stessa cosa dicasi per “Touch and Go”. Seguono poi ancora una volta i classici degli anni ‘70 – inframezzati da “Mars…” di Holst – che anche in questo caso non tolgono e non mettono nulla a quanto già sentito nelle miriadi di riproposizioni.
Lo avrete capito: collezione tripla solo ed esclusivamente per chi vuole completare la propria già sterminata collezione. Bella la confezione, con le note di libretto scritte da Jerry Ewing di Prog Magazine (pur con qualche imperfezione). Per il resto, possedere questo prodotto non risulta affatto prioritario.



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Michele Merenda

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