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STICK MEN |
Prog noir |
Unsung Records |
2016 |
USA |
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Nel 2007, il pluri-impegnato Tony Levin (sempre legato a doppio filo ai King Crimson) pubblicò un album solista che si chiamava “Stick men”. Con lui, il compagno crimsoniano Pat Mastellotto alla batteria e Michael Bernier, altro stick man. Comincia da lì la fondazione del nuovo gruppo, che vedrà il proprio compimento tre anni dopo con “Soup”. Subito dopo, il tedesco Markus Reuter avrebbe sostituito Bernier. Un ingresso niente affatto casuale, visto che il musicista europeo proviene dal Robert Fripp’s Guitar Craft, è l’inventore della U8 touch guitar e fa parte con Levin del “Touch Guitar Circle”, oltre a condividere con lo stesso Levin l’avventura chiamata The Crimson ProjeKct. Un mondo, il loro, che orbita attorno a queste strumentazioni in evoluzione costante. In principio fu il Chapman stick, creato da Emmett Chapman agli inizi degli anni ’70; lunghi strumenti con otto, dieci, dodici corde, da suonare a due mani in una specie di tapping, fondendo armonie distinte tra loro ed andando oltre il concetto di basso (strumento per il quale Levin è peraltro conosciuto). Da qui, si giunge alla natura del lavoro in esame. Si potrà dire che giunti al quinto album in studio, alcuni live ufficiali e retrospettive con inediti i nostri abbiano voluto variare il proprio metodo compositivo, magari più vicino alla forma canzone. Qualcuno dirà pure che qui si vogliono creare atmosfere che siano allo stesso tempo più dirette. Ma la natura della musica non cambia: si tratta di una proposta cervellotica ammantata persino da uno pseudo-minimalismo. È qualcosa di congenito al genere e a ciò che viene adottato per eseguirlo, inutile voler sfuggire alla realtà dei fatti e re-inventarsi chissà cosa per risultare originali a tutti i costi. L’originalità, in principio, era insita nella proposta di cui sopra. Ad oggi, infatti, non è facile far paragoni ed usare parametri per inquadrare quanto suonato dai tre professionisti. Ed in fin dei conti, dovrebbe anche essere questa la base del voler “progredire”. Solo che quanto proposto, con le sue astrazioni – per l’appunto – cervellotiche, è già stato ascoltato abbondantemente nel corso degli anni. La domanda è: riuscirà ancora ad impressionare, nonostante non ci si basi su emozioni epidermiche ma su formule matematiche? A tratti esaltanti, sì, ma sempre di algebra si tratta. Certo, ci sono pur sempre gli appassionati di espressioni e parentesi quadre, che ne hanno fatto una ragione di vita… Detto questo, il riferimento è sempre il medesimo: “Discipline” (1981) della casa-madre King Crimson e la relativa title-track, che stavolta può essere rintracciata nel mosaico di suoni continuamente scomposti e ricomposti di “Embracing the Sun”. Si è parlato della forma canzone, come nell’iniziale “Prog Noir” e nella conclusiva “Never the Same”, facendo anche riferimento alle straordinarie capacità vocali di Levin. Come al solito, fa sempre molta tendenza far entusiasmare per l’inaspettato. La voce di Tony è effettivamente intonata… Le amplificazioni ed i filtri in studio fanno il resto. Molto meglio, invece, concentrarsi sul turbinio strumentale di “Schattenhaft”, su “Mantra”, o sull’oscura ed incalzante epicità di due ottimi brani come “Leonardo” e “Trey’s Continuum”. Ma anche sui sussurri di “Plutonium”, in cui vengono citati i Carmina Burana di Carl Orff , gli Yes e Čajkovskij, con un andamento pigramente funky ed impennate di ispirata durezza. Quella che è attualmente l’ultima uscita degli Stick Men è tutto quanto sopra descritto, nella fredda obiettività che i musicisti stessi sembrano voler perseguire con la propria attitudine. Inutile voler per forza vedere qualcosa che in realtà non c’è. Qui si ha un prodotto sintetico (inteso come sintesi di laboratorio), reso comunque bene, che vale la pena di provare ad ascoltare, anche solo per la curiosità di capire. E poi – si spera – si deciderà senza condizionamenti: prendere o lasciare.
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Michele Merenda
Collegamenti
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LIQUID TENSION EXPERIMENT |
2 |
1999 |
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