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VESPERO |
Fitful slumber until 5 a.m. |
R.A.I.G. |
2015 |
RUS |
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Forse qualcuno sostiene che i Vespero rientrino tra quelle band-cloni degli Ozric Tentacles e che facciano anche loro album fotocopia? Qualche altro, invece, ascoltando questo sesto lavoro in studio, si azzarderebbe a sostenere che – paradossalmente –, discostandosi dalla loro matrice originaria, abbiano alla fine realizzato qualcosa di dispersivo? Beh, entrambi gli schieramenti – in caso – non dimostrerebbero certo di aver idee molto chiare in merito. Quello in oggetto, fino al momento della sua pubblicazione, è senza alcun dubbio lo sforzo compositivo migliore che il gruppo di Astrakhan abbia concepito. Mai tanto personali ed originali come in questo caso, lo spettro dei succitati Ozric viene tenuto ben alla larga (nei limiti del possibile, ovviamente) grazie al tema portante individuato per l’occasione: il viaggio mentale. Un discorso già accennato col precedente “Droga” (2013), grazie alle sue ampie introduzioni ispirate da sconfinate distese e paesaggi ipnotici, elemento che qua viene meglio studiato, elaborato e quindi ottimizzato. La figura quasi scarabocchiata in copertina è testimonianza di una personalità turbata, dal “sonno disturbato” come viene indicato nel titolo, che si perde in quelle visioni semi-oniriche capaci di inquietare e di rendere pesante il dormiveglia. Un viaggio che porta a spaziare nei luoghi dell’immensa Russia, al di là delle barriere climatiche e persino temporali, evidenziando ancora una volta come, in una semplice manciata di minuti, si possano svolgere nel mondo mentale situazioni dal tempo indefinito. La formazione è ormai sempre la stessa, assolutamente coesa e collaudata, con quelli che sono più o meno sempre i soliti ospiti, solo che stavolta il batterista Ivan Fedotov fornisce un’ottima prova anche alle percussioni ed il chitarrista/produttore Alexander Kuzovlev inserisce il mandolino tra i protagonisti di questo nuovo tipo d’esperienza extra-sensoriale. Lo dimostra già con l’attacco sognate di “Ogni fuoco” (l’uso della lingua italiana sta diventando un’abitudine…), assieme al sax di Pavel Alekseev, a cui segue uno spezzone con spinetta (tipo psichedelia strumentale, ripresa nella cinematografia dei film d’azione italiani) ed il flauto di Alexey Esin. Apertura quindi affidata ad uno degli episodi migliori dell’album, che comincia come da copertina alle 3:50 del mattino. Momenti di sospensione astrale accompagnati da dissonanze agitate, sorta di contrazione-espansione dettata da una sapiente distorsione. Segue “Outer planting” , contraddistinta da un intreccio continuo del mandolino in un’aria sonnacchiosa, tra percussioni e sintetizzatori, ricordando le enormi distese evocate – come già detto – nel precedente album. Le visioni diventano sempre più ardite a partire da “Kamzas Red Sands”, in cui si ricrea l’immagine delle sabbie rosse lungo il serpeggiante Kamzas, fiume della Khakassia, regione della Siberia occidentale. Un viaggio gelido e solitario, che nasconde forse anche delle insidie, scorrendo sempre più veloce per poi rallentare, scandito dalla fisarmonica cosmica di Alexander Taranenko nelle nebbie sperdute. L’uso di synth, fiati e percussioni sottolinea ancora di più l’andamento sinuoso di questo fiume inquietante, con effetti che sembrano volerti inghiottire nelle acque assideranti che continuano a scorrere imperterrite. Ma si continua a vagare e a rivivere nell’inconscio, soprattutto con “1507”; presumibilmente il titolo si rifà all’anno in cui cominciò l’invasione in Russia ad opera dei Tatari provenienti dal khanato di Crimea, approfittando della morte del gran duca moscovita Ivan III. Un anno fondamentale per la storia del Paese dell’Est, visto che fu il preludio delle guerre russo-crimee per il controllo della zona del Volga, che imperversarono durante tutto il sedicesimo secolo e che in seguito comportarono anche l’incendio di Mosca. Andamento musicale con cui si riesuma il fascino di quella particolare cultura che sanciva il confine tra l’Occidente ed il Medio Oriente, richiamando le scorribande oltre frontiera, lanciando poi la chitarra in corse anche un po’ Zappiane, inframmezzate con avvolgenti folate di sensazioni e colori lontani. Tutto questo, prima che al decimo minuto l’invasione venga realmente attuata e la distorsione prenda il sopravvento per ricordare gli accadimenti. Si continua in queste atmosfere con “Ezel”, che è tra le altre cose il nome di una serie televisiva turca; ma forse il titolo in esame guarda alla zona di Ezel’-Chvor, luogo freddissimo in piena Asia centrale. L’incedere spaziale, gelido e dalla terribile suggestione, potrebbe fare protendere per quest’ultima ipotesi, con il mandolino che apre il brano e che poi lascia il passo ad una chitarra che non ha freni inibitori, persa com’è nelle lande più desolate. Le emozioni antiche tornano a rivivere in “Atil”, nome turco che indicava il Volga, ma che fu anche capitale tra l’ottavo e il decimo secolo della Khazaria, per lungo tempo stato cuscinetto tra l’Impero bizantino, quello persiano e il califfato degli Omayyadi. Patria dei turchi semi-nomadi Khazari e punto focale per il commercio lungo la via delle spezie, il luogo era caratterizzato da una popolazione multietnica e multi-religiosa (per tre secoli i Khazari dominarono la zona tra il Volga e la Crimea, ma la capitale in questione venne poi distrutta da Sviatoslav I di Kiev). Un respiro ampio che pervade per intero i quattordici minuti di durata, proiettando l’ascoltatore tra il vociare delle genti, dove il sax spunta come in una visione onirica tra le percussioni ed il mandolino, stravolgendo i sensi e quindi la percezione, con l’immancabile impennata di energia a seguire. Una situazione in cui la perdita del pensiero nella dimensione del passato viene accompagnata dal violoncello di Vladimir Belov, che poi si mischia alla chitarra ed al ritorno del sax. “Kidish Hail” chiude le visioni oniriche alle 5 del mattino in punto; il mandolino detta sciolto le danze ed il “rientro” nella parte cosciente alla fine pare tutt’altro che semplice e lineare, sottolineato da un’atmosfera cupa, densa, resa un attimo più eterea dal sax. Un viaggio lungo e difficile, si diceva. Ma le ampie distese russe, nonostante le aspre difficoltà, sembrano un luogo da scoprire ad ogni costo. Soprattutto viaggiando con la propria mente a ritroso nel tempo.
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Michele Merenda
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