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ANÈMA |
After the sea |
Sliptrick Records |
2017 |
ITA |
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Il qui presente quartetto siciliano (di Siracusa, per l’esattezza) nasce nel 2015 e dopo essersi fatto conoscere a suon di cover esordisce con un concept. A quanto sembra, la storia è basata sui drammi di chi attraversa il mare, in cerca di un’esistenza migliore. Si è parlato molto di loro, ponendo l’accento sulla capacità di coesione che riesce a prevalere sull’esibizione di virtuosismi, con un fare molto eclettico e progressivo. Beh, qui – per lo più – c’è una dose preponderante di prog-metal e non si sa come qualcuno possa affermare il contrario. Non che questo debba essere un male, ci mancherebbe, soprattutto se le intenzioni erano esattamente queste. Peraltro, si è anche parlato di una certa originalità, che evita la tentazione tipica delle giovani band nostrane di rifarsi palesemente ai Dream Theater… Ma anche qui occorre dissentire, perché i riferimenti ai ‘Theater ci sono eccome, soprattutto a quelli che tra il primo e il secondo album stavano cercando un proprio assetto, sfornando alcuni brani mai pubblicati su full-length, talvolta riproposti dal vivo ed in seguito su singoli o EP. Per quanto riguarda poi il non proporre molti assoli, sotto una certa ottica – visto il genere proposto – questo appare una limitazione e non un pregio. Ma allora a questi benedetti ragazzi li si vuole proprio demolire, nonostante le belle parole spese da tanti altri? Assolutamente no, si vorrebbe solo tirar fuori il potenziale positivo che hanno senza dubbio dentro e non farli adagiare su quei facili complimenti che dopo qualche mese cadono nel dimenticatoio. Baco Di Silenzio, tanto per dire, ha una gran bella voce e non potrebbe essere altrimenti se spesso viene spontaneo fare degli accostamenti illustri con Ray Alder dei Fates Warning, altro gruppo a cui si potrebbe far riferimento. E così, dopo un’intro solenne, con percussioni da saga egizia, “After The Sea” – che inizia con suoni tecnologici – ne è l’ideale proseguimento, assieme a tutti i rimandi di cui sopra. La voce non è per nulla ben allineata in “Some Fires” (ma forse è stato un effetto voluto), al contrario dell’altra prog-metal ballad intitolata “She”, che online sta riscuotendo un discreto successo. “Free Forever” parte invece spigliata, proseguendo poi con un assolo (finalmente) di chitarra ad opera di Lorenzo Gianni, oltre a degli interessanti interventi di Dario Gianni sia al basso che alle tastiere. Vi sono poi dei pezzi molto duri, come “Let The Sky In The Mainland – dove l’interpretazione vocale fa emergere ancora di più i Fates Warning – e “This Place Needs Revolution”, con un assolo di chitarra che comincia ad essere all’altezza di una platea decisamente più ampia. Brani dove Salvo Crucitti pesta sulla batteria senza tanti complimenti, reggendo comunque ritmi non certo semplici. Se si vuol parlare di prog-rock, sarebbe bene focalizzarsi su “Song For Nothing”, che evidenzia degli interventi tastieristici molto in odore di new-prog e si conclude con riferimenti in stile Genesis. Ma a prescindere da quest’ultimo brano preso in esame, un po’ tutto l’album ricorda la scena italiana prog-metal degli anni ’90 (stile che all’epoca veniva chiamato metal-prog italiano), che curava le melodie, le inseriva in andamenti molto spigliati ma peccava non poco in fase di produzione. Nonostante tutto, l’importante era sicuramente partire. Adesso, indipendentemente dalle belle parole che comunque fanno sempre piacere e spingono ad andare avanti, bisogna migliorarsi e dar vita ad una proposta meno eterogenea e soprattutto meglio prodotta, perché uno dei problemini da risolvere, come vagamente accennato, sta proprio nel mixaggio. A risentirci, ragazzi cari. Scommettiamo che il seguito sarà migliore dell’esordio?
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Michele Merenda
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