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OLOGRAM La mia scia autoprod. 2024 ITA

Provenienti da Siracusa, gli Ologram sono guidati da Dario Giannì, bassista, tastierista e compositore, autore di tutta la musica presente in questo cd autoprodotto di circa trentasei minuti. Classico quintetto prog, con l’aggiunta di ospiti alle tastiere, al violino e alla voce, gli Ologram sono bravi a miscelare le influenze e a proporre una serie di brani nei quali sono abbinati la voglia di lanciarsi nei meandri di un enfatico prog sinfonico e la spinta verso sonorità e melodie di una certa orecchiabilità. Dopo una breve introduzione affidata a curiosi vocalizzi con “22.43”, si entra nel vivo del disco con “Kasbah”, pezzo che sorprendentemente si apre con un riff che rievoca molto (troppo?) da vicino “Kashmir” dei Led Zeppelin. La dinamica di questo bano è comunque piacevole e porta ad un’alternanza tra vigore hard rock ed elegante prog romantico. A seguire, “Luna piena” mostra la capacità degli Ologram di far incontrare sonorità moderne, atmosfere dei seventies e melodie immediate. “Non sarai” parte come canzone rock che strizza l’occhiolino alla Premiata Forneria Marconi più diretta, ma si apre anche ad una bella parte strumentale con le tastiere in grande spolvero. “Jaracanda” offre un sound più tranquillo e semiacustico e si muove su terreni non distanti dalla world music (sospinta anche dal violino) ed ha anche una breve sezione più classicheggiante. La strumentale “Descent”, invece, sembra prendere spunto contemporaneamente dai Rush più tecnologici (periodo “Signals”), dagli Yes e dai King Crimson, con ottimi interscambi di chitarra, tastiere e archi su ritmi in continua variazione. Probabilmente il momento top del cd. Le ultime due tracce, “La mia scia” e “1997”, virano verso soluzioni più semplici ed un pop-rock comunque dignitoso, che vede come punti di riferimento Police, Radiohead, Muse, ma anche gli anni ‘80 della P.F.M. e dei Genesis. In questo loro secondo album, gli Ologram hanno messo in mostra diverse carte interessanti. Innanzitutto è evidente la capacità di mescolare bene le varie influenze, cosa che ha permesso di evitare impressioni di clonazioni o di ennesima riproposta di cliché prevedibili. Da lodare anche arrangiamenti ed esecuzioni. Tra le cose rivedibili c’è da dire che in certe occasioni una maggiore attenzione alle dinamiche, accentuando alcuni contrasti tra “piano” e “forte”, potrebbe portare ulteriore imprevedibilità alle composizioni e sembrano migliorabili le parti vocali. Insomma, c’è ancora da limare qualcosa per una piena maturità, ma “La mia scia”, pur mostrandosi ancora un po’acerbo, è pieno di belle idee e mostra una band che ha promesse importanti da mantenere.


 

Peppe Di Spirito

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