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MONKEY DIET |
Inner Gobi |
Black Widow |
2017 |
ITA |
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La regione interna del Gobi, ci sono stato, è una zona ostica, impervia, desolata, arida piena di contrasti, caldissima e freddissima all’interno della stessa giornata. Tuttavia, al tempo stesso, ha un suo fascino unico ed evocativo, sa regalarti luoghi inattesi che ti segnano dentro. “Inner Gobi” è anche il titolo dell’album d’esordio dei bolognesi Monkey Diet ma c’è da dire che la musica non è completamente in linea con quanto descritto per il luogo. Sicuramente ascoltando la band bolognese non vengono in mente ampi spazi desertici; piuttosto è una musica abbastanza claustrofobica. I punti in comune li possiamo trovare nella non facile fruizione della loro proposta e, in alcuni frangenti, anche nella capacità essere molto evocativa. Andando più al sodo, i Monkey Diet ci propongono un prog rock molto heavy di matrice crimsoniana e con spunti kraut alla Amon Düül e Ash Ra Temple, ma anche rimandi a band più propriamente hard rock come i Black Sabbath. I Monkey Diet sono un trio chitarra, basso e batteria e, seppur all’esordio, si tratta di facce conosciute nel piccolo mondo del prog italiano. Su tutti il bassista Daniele Piccinini, già membro di uno dei migliori gruppi prog in circolazione ovvero gli “Accordo dei Contrari”. Con il suo basso impone ritmi ossessivi e assume spesso il ruolo di protagonista, dando potenza a tutto il sound della band. Conosciuto soprattutto per la sua militanza nei PropheXy è invece il chitarrista Gabriele Martelli che, con le sue sonorità aspre e spigolose, si alterna e si sovrappone al basso di Daniele, non disdegnando però anche assoli più armonici e raffinati. Meno famoso, ma non meno bravo, è infine il batterista Roberto Bernardi, proveniente da una cover band dei Genesis. Colpisce quindi la mancanza di un tastierista anche se sia Daniele che Gabriele si cimentano ai synth. Questa mancanza rende il sound più scarno ed essenziale e non sempre questo è un male! C’è però da dire che in alcuni frangenti mi sarei aspettato un maggior impatto sonoro, più deciso e compatto: la musica in alcuni frangenti tende ad essere un po’ slegata e non troppo fluida. Le atmosfere sono scure e dense, ma non sempre riescono mantenere alta la tensione come ci si aspetterebbe da questo tipo di sonorità. Si la sensazione che stiano lì lì per decollare, ma non sempre ci riescono, lasciandoti un pizzico di amaro in bocca. Probabilmente bisognerà ancora oliare l’amalgama, ma ad ogni modo i risultati sono già più che soddisfacenti, non mancano i brani più riusciti come “Moth” in cui il loro hard prog sporco è davvero trascinante e coinvolgente. Nel complesso, seppur con qualche piccolo difetto è un disco affascinante e forse necessita di diversi ascolti prima di essere apprezzato pienamente e sono altresì sicuro che dal vivo possa rendere anche di più. Se mai passeranno da queste parti vedrò di non perdermeli.
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Francesco Inglima
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