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WINGFIELD REUTER SIRKIS |
Lighthouse |
Moonjune Records |
2017 |
UK / GER / ISR |
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Se andate a fare delle ricerche online, leggerete che il lavoro preso stavolta in esame è un Capolavoro. Avanguardistico, di difficile inquadramento stilistico, di arduo ascolto… e forse proprio per questo capolavoro da scrivere con la lettera maiuscola. In realtà, ci sono delle cose da sapere. Mark Wingfield (chitarra), Markus Reuter (touch guitar) e Asaf Sirkis (batteria) vengono riuniti da Leonardo Pavkovic agli inizi del 2016 presso La Casa Murada, castello catalano dell’undicesimo secolo oggi adibito a studio di registrazione, in cui si butta giù una quantità considerevole di pezzi improvvisati per dar vita a tre album distinti. Questo “Lighthouse” risulta il primo ad essere registrato, il 18 febbraio per la precisione, nonostante sia stato pubblicato successivamente a “The stone house” inciso il giorno seguente. In quest’ultimo si era ritrovato a suonare anche il bassista israeliano Yaron Stavi e nonostante fosse giunto a rotta di collo, aveva instaurato subito un buon feeling con i tre – forte anche dell’intesa professionale col connazionale Sirkis, ormai rodata da tempo –, apportando un contributo strumentale che aveva fatto nascere qualcosa a tratti decisamente interessante. “Lighthouse”, invero, non è poi tanto dissimile, denotando un approccio che è stato giustamente definito più “tumultuoso”. C’è dissonanza, tanta dissonanza, dando sempre e comunque l’impressione di un lavoro di insieme parecchio omogeneo. Capolavoro, quindi? Mah… La filosofia (alienata) pare quella dei ‘Crimson più rumoristici (e rumorosi), con delle sospensioni rarefatte (anche quelle originate dal Re Cremisi) che di jazzistico hanno conservato ormai solo il nome, da individuare magari nelle proposte della ECM e in particolar modo nel Terje Rypdal più sperimentale. Di certo, l’iniziale “Zinc” aveva avuto un gran bell’impatto, richiamando l’ottima immagine di copertina in cui il mare tempestoso sferza il molo e le case adiacenti. Qui il basso ancora non c’era, quindi è toccato alla touch guitar fare i salti mortali, ma il pezzo risulta riuscito soprattutto per il gran lavoro di Sirkis, che invece sembra pestare in maniera più ossessiva nella seguente “Derecho”. Che i rimandi possano essere Crimsoniani non è poi così strano, in quanto proprio Reuter fa parte sia degli Stick Men di Tony Levin che dei Crimson ProjeKCt. E la proposta insolita sembra comunque legata ai vari personaggi che hanno transitato nella band storica di Robert Fripp, con particolare riferimento a Tony Levin, Trey Gunn e Pat Mastellotto. Ci sono pezzi molto (troppo) lunghi, come “Ghost Light” e “Magnetic”; “A Hand in the Dark”, suona davvero interlocutoria, mentre i due pezzi finali risultano comunque interessanti: “Transverse Wave”, che pulsa magnetica, e la buona “Surge”, quattro minuti e mezzo in cui l’improvvisazione dà i suoi frutti. Lavoro difficile da ascoltare e da apprezzare questo secondo capitolo, a meno che non si ami per principio ciò che può risultare incomprensibile. Ovviamente, non bisogna commettere l’errore di disprezzare a priori le proposte che sfuggono agli standard. A pensarci bene, questo oggi potrebbe essere Prog, andando oltre i parametri precostituiti. Per qualcuno sarà la corretta sublimazione dell’intellettualismo, per altri potrebbe essere Rumore. Scritto comunque con la lettera maiuscola ed eseguito da validissimi musicisti che hanno deciso di andare oltre.
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Michele Merenda
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