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L’ancor giovane tastierista, e multistrumentista, Riccardo Romano si è ormai fatto un nome nel piccolo mondo Prog, prima con i RanestRane, di cui fa tuttora parte, poi con la Steve Rothery Band e la David Foster Band. Per il suo primo album solista Riccardo tenta subito il colpo grosso con un’opera rock basata su Il Piccolo Principe (qui non siamo ai massimi livelli di originalità… forse giusto Il Signore Degli Anelli vanta un numero maggiore di tentativi di rivisitazioni…) e con una pletora di artisti convitati di tutto rispetto, partendo da Andrea Bassato e Lorenzo Feliciati, proseguendo con Steve Rothery e Steve Hogarth, Dave Foster e altri, compresi ovviamente tutti i compagni dei RanestRane. L’album è ottimamente realizzato, bisogna dire, e possiede un respiro internazionale (addirittura patinato) che spesso è purtroppo difficile trovare nelle produzioni italiane. Da un punto di vista musicale possiamo dire che è ovviamente forte il sapore del gruppo madre, con un andamento cinematico e narrativo delle composizioni, ma anche dei Marillion hogarthiani. Lo stesso Riccardo afferma peraltro di essersi musicalmente ispirato, per quest’opera, all’album “Ovo” di Peter Gabriel. Le 13 tracce, per un totale di oltre un’ora di musica, sono interpretate dalle varie voci che impersonano i diversi personaggi (Hogarth interpreta il serpente… molti suoi detrattori approveranno…), seguendo più o meno fedelmente il dipanarsi dell’opera di Saint-Exupéry, donando un alternarsi emotivo piuttosto piacevole, passando ad esempio dalla splendida interpretazione della rosa da parte di Jennifer Rothery in “Letter” al trascinante blues/swing di “The King”, interpretata da Martin Jakubski. La voce narrante, in francese, di Sonia Bertin, che interpreta la volpe, funge da trait-d’union tra molte tracce dell’album, incrementando il senso di continuità tra i vari capitoli, pur in presenza, come detto, di escursioni stilistiche e situazioni umorali diverse. Si può veramente affermare che non esista nell’album alcun episodio sbagliato, nessun passo falso e situazione che faccia storcere la bocca per qualche particolare fuori posto. La musicalmente deliziosa “The Snake”, in cui la minacciosa voce del serpente-Hogarth si inserisce in un intreccio musicale delicato e raffinato, i 10 minuti di “Dragonfly”, dai toni drammatici che si alternano a momenti dolcissimi e poetici… o ancora la struggente “The Lamplighter”. Il giudizio su quest’opera d’esordio del Romano solista non può quindi prescindere dall’essere una valutazione sul tutto, se piaccia o meno quest’approccio musicale e lo svolgimento del compito che l’artista si è prefisso. Forse il tutto è troppo perfettino e manieristico? Patinato e fruibile? Artificioso? Ma vivaddio… per una volta lasciamoci rapire da un’opera così ben realizzata da parte di un artista nostrano che di sicuro merita le attenzioni anche da parte di un pubblico internazionale. Personalmente ho trovato quest’album deliziosamente ispirato e realizzato in modo professionale. Non è necessariamente un difetto.
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