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OTEME |
Il corpo nel sogno |
Ma.Ra.Cash Records |
2018 |
ITA |
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Nelle note di copertina di questo disco, così come nei comunicati stampa di presentazione, si fa esplicito riferimento a Stravinskij, Messiaen, Fieldman, Bob Dylan, Lucio Battisti, Pasquale Panella, Sun Ra, Stockhausen, le avanguardie del Novecento, il Rock in Opposition, il drum ‘n’ bass, la canzone d’autore e altro ancora. Un quadro a prima vista un po’ confuso, ma d’altronde, considerando il diverso e variegato background degli otto musicisti coinvolti nel progetto Oteme (Osservatorio delle Terre Emerse), era del tutto inevitabile che le influenze e gli obiettivi fossero disparati, apparentemente in contrasto e mescolati insieme. “Il corpo e il sogno”, terzo lavoro di questo ensemble, è stato composto nel giro di due anni da Stefano Giannotti, che potremmo quindi individuare come il deus ex machina del gruppo. Ma il lavoro di insieme si avverte e come! Sono tantissime le sfumature di questo album i cui ingredienti, come accennato, sono gustosi e vari. Il risultato è un prodotto altrettanto ricco e difficile da inquadrare, anzi, direi impossibile da definire tra confini di genere come si è solitamente abituati a fare. Già l’opener “Rubidor #1”, con ritmi drum ‘n’ bass, canto recitato, armonie vocali stravaganti e suoni bizzarri è una curiosa presentazione. Vogliamo scomodare il Picchio dal Pozzo o gli Henry Cow per rimanere in territori a noi consoni? No, non è abbastanza… E allora proseguiamo l’ascolto e incontriamo la title-track aperta da delicate note di arpa. Si vira verso il cantautorato, ma quello “colto”, come si dice solitamente. E in queste battute iniziali del disco è subito chiaro che la voce profonda di Giannotti declama testi surreali, con frasi che sembrano slegate tra di loro e che pure hanno un fascino ed un impatto immediati. Incontriamo poi la scuola di Canterbury contaminata da un pizzico di elettronica e da ritmi esotici (africani? Orientali? Boh…) in “Negibor”, il breve strumentale “Blu marrone”, chamber rock inquieto e cerebrale (qualcuno ha detto “Art Zoyd”?) e nuovi elementi cantautorali che si confrontano con uno scenario musicale più ricercato con “Sonno invisibile (Bolero terzo)”. Come se non bastasse si giunge a “Strippale”, uno strumentale assurdo nato per uno strip tease, con ritmi nuovamente elettronici e una chitarra un po’ blues e un po’ jazz supportata da fiati notturni, seguita da “Un paradiso con il mal di testa”, altro pezzo da equilibri curiosi tra spunti melodici, inserti strumentali giocosi ed ancora elettronica. Viene poi il piatto forte, con le tre parti di “Nascita dei fiori (1989/1996/2017)”. Qui gli Oteme osano ancora di più e il loro spirito avanguardistico viene fuori per bene: rumori, cigolii, voci distorte appena percepibili, atmosfere a tratti tenebrose, senso di inquietudine, melodie sghembe, attimi che sembrano rievocare quelle pennellate strumentali nella “Moonchild” crimsoniana così come la musica concreta ed una terza parte magnifica dove lo spirito del Maestro Frank Zappa è ben avvertibile. Potrebbe essere una conclusione da apoteosi, ma ci sono altre due tracce da ascoltare: “Orfeo e Moira”, canzone vagamente jazz in cui risaltano di nuovo le armonie vocali e “Rubidor #2”, gemella dell’incipit, che va a chiudere il cd con un ballabile chill out, trattato ovviamente come sanno fare i musicisti coinvolti. Al terzo disco, gli Oteme si confermano come una band fuori dal comune, rendendo più accessibili le avanguardie prog e più complessa l’immediatezza della canzone d’autore. Non è una novità, non è da tutti, non è per tutti.
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Peppe Di Spirito
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