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OLD ROCK CITY ORCHESTRA |
The magic park of dark roses |
Avanguardia Convention |
2018 |
ITA |
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Terzo album in studio per il power trio umbro degli Old Rock City Orchestra dopo il convincente “Back To Earth”, datato 2015. Cinzia Catalucci (voce, tastiere, percussioni), Raffaele Spanetta (chitarre, basso, voce e tastiere) e Michele Capriolo (batteria e percussioni) formano la line up di “The magic park of dark roses”, con il contributo di Laurence Cocchiara (violino in un paio di brani) e di Chiara Dragoni (flauto in “Visions”). Copertina e libretto (con liriche annesse) decisamente dark sono il biglietto da visita di questo concept dove alchimia e simbolismi sono alla base del viaggio allegorico del protagonista. Uno hard blues roccioso, quello del trio di Orvieto, che entra subito in circolo e non abbandona più l’ascoltatore, ma anche molto altro come andremo a raccontare. Le radici musicali sono decisamente vintage, le ritmiche talvolta ipnotiche e “deviate”, oscure e spettrali che la voce di Cinzia sa rendere ancora più coinvolgenti (in alcuni pezzi il cantato è di Spanetta, invece). Partenza subito lanciata con la title track che toglie immediatamente ogni minimo dubbio: dinamica ma cupa, graffiante ma anche carezzevole e quel cantato a squarciare le tenebre. Inizio migliore non poteva esserci per entrare nel cuore dell’album. Presaga di arcani misteri è la granitica “The fall”, sabbathiana e tenebrosa, che la voce della Catalucci interpreta con grande trasporto emotivo. Da ascoltare al buio, in una notte buia e tempestosa… Con “Visions” si cambia registro con il flauto ed il violino a duettare e a rendere meno opprimente l’atmosfera che a tratti sfiora le malìe folk. La seducente “A night in the forest (ben cantata da Spanetta) anticipa “The coachman”, di chiara ascendenza Heep (periodo “Salisbury”). Tastiere protagoniste in “A spell of heart and soul entwined”, la più sinfonica delle dieci tracce dell’album con, inoltre, un gran lavoro ritmico e con le voci che paiono arrivare da un altro mondo… misterioso. “Thinkin’ ‘bout fantasy” è un botta e risposta continuo tra chitarre e tastiere mentre “Soul blues” è un solido hard… blues neanche a dirlo. Chiusura affidata a “Golden dawn”, splendida cavalcata interamente strumentale (che riprende temi ascoltati in brani precedenti) e splendida ciliegina su una “torta” di qualità davvero elevata. Un rock sanguigno che sa essere pure raffinato ed attento al minimo particolare. Insomma: tra le migliori uscite discografiche italiane dell’anno.
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Valentino Butti
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