|
MARCO GLÜHMANN |
A fragile present |
Gentle Art Of Music |
2024 |
GER |
|
I Sylvan sono riusciti a guadagnarsi nel corso degli anni un buon seguito nel mondo del progressive rock, nonostante una proposta non certo originale, che si è mossa sui canoni sicuri del new-prog, con qualche sterzata verso il prog-metal e il pop-rock. Nel 2024 il cantante della band Marco Glühmann dà alle stampe il suo esordio solista intitolato “A fragile present”. Arriva a questo traguardo contornandosi di alcuni musicisti connazionali e precisamente il suo compagno di avventura nei Sylvan Johnny Beck (chitarre), alcuni membri degli RPWL quali Kalle Wallner (chitarre e basso), Markus Grützner (basso) e Yogi Lang (tastiere, ma si è anche occupato della registrazione, della produzione e del mixaggio), più il batterista Tommy Eberhardt. A completare l’opera, è riuscito a coinvolgere due personaggi di caratura internazionale e precisamente Steve Rothery dei Marillion e Billy Sherwood degli Yes. Ma veniamo ai contenuti di “A fragile present”, che in poco meno di un’ora ci offre dodici brani che viaggiano tra i tre e i cinque minuti e mezzo. “Hear our voice” è un buon incipit, che parte potente, ma prosegue con belle dinamiche, muovendosi tra ballad semiacustica, new-prog vibrante ed echi floydiani. Glühmann si presenta con una prestazione vocale brillante, grazie al suo timbro caldo e ad una interpretazione senza sbavature. Diciamo subito che, proseguendo l’ascolto, sarà proprio la prova del cantante ad essere il punto forte e focale dell’album. Le composizioni si attestano su livelli per lo più sufficienti, senza mai eccellere, nonostante qualche buon picco. Tra formule che ripetono stancamente le caratteristiche del pezzo di apertura (“Never say goodbye” e “Black the shade out”), ballate in crescendo con ritornello ruffiano (“Reach out”), ruvidezze metal con voglia di modernità che non convincono minimamente (“Faceless”, “One last hope” e “Running out of time”), pop mieloso con tanto di strizzatina d’occhio agli U2 (“For a while”), il disco fatica a prendere realmente il volo. Qualche bel tocco di classe c’è e contribuisce non poco ad elevare la media, vedi “Look at me” con i suoi toni dimessi e malinconici, i bei tocchi pianistici e l’esplosione verso i due minuti, o la raffinatezza di “At home”, guidata prevalentemente da piano e voce, e di “Life is much too short”, con tanto di guitar-solo coinvolgente. Conclusione molto interessante, poi, grazie a “My eyes are wide open”, un new-prog d’atmosfera un po’ cupo e impreziosito dalla bella performance di Rothery alla chitarra col suo stile immediatamente riconoscibile. Bella voce, spunti interessanti qua e là, ma direi che nel complesso ci sono troppi alti e bassi, anche se probabilmente molti fan dei Sylvan potrebbero apprezzare. Tra i progetti paralleli legati alla band risulta decisamente più interessante quello a nome Violent Jesper in cui si sono cimentati Volker Söhl e Johnny Beck.
|
Peppe Di Spirito
Collegamenti
ad altre recensioni |
|