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"Spleen" è un lavoro che riserva molte sorprese quando si passa dall'osservazione della confezione all'ascolto. La prima caratteristica che colpisce è il titolo: "Spleen", parola che riecheggia baudelairiane rimembranze di animi oppressi e ragni che tessono tele attorno al cervello; si viene poi sorpresi dalla strumentazione utilizzata: l'assenza di chitarre induce ad attendere fluidi tappeti sonori a far da sfondo ad atmosfere traboccanti di melodie tastieristiche. Infine un piccolo marchio sul retro che recita "Vinyl Magic new prog ‘90" fa ribollire le menti di infantile orgoglio nel trovare qualcosa che non ha nessuna intenzione di camuffarsi fra i vari titoli nella speranza di essere csualmente acquistato ma che rivendica tutta la sua progressiva ragion d'essere.
Quando il CD inizia a girare ci si accorge però che di Baudelaire non vi è ombra (se non una lunga storia, ritengo autobiografica, scritta sulla copertina che narra di travagli ed emarginazione ma che non trova corrispondenti struggente nella musica) e questo farà esclamare a molti "chi se ne frega?!". Saranno costoro un po' dispiaciuti quando si accorgeranno che, per la maggior parte del disco, le attese tastiere si riducono ad un ritmare semplici armonie, ben eseguite, ma un poco distanti da ciò che ci si attendeva. Infine l'etichetta prog: se qualche inesperto acquistasse questo CD per avere un'idea di cosa è il genere progressivo, temo che non ne avrebbe un'immagine veritiera: a momenti decisamente positivi in cui le tastiere propongono inebrianti ritmi sorrette da una buona sezione ritmica (eccellente la batteria, mentre pare un po' incolore il basso), si alternano sprazzi o addirittura intere canzoni più ricollegabili a melodie jazz-funky che a ciò che si pretende di stare suonando. Si possono infatti trovare occasioni, come nel brano iniziale, in cui si viene avvolti da un generale fiume di armonie ed avere poi l'impressione, in altre parti, di trovarsi in presenza di emuli di Vinicio Capossela, con tanto di tastiere che sostituiscono i fiati o a nostalgiche reinterpretazioni di Pooh e Togni (per la prima volta mia madre ha aperto la porta esclamando "bella questa canzone", anziché il rituale "abbassa che mi dà fastidio!"). Non mi pare quindi giusto definire "Spleen" un'opera prog, andando ad elemosinare sprazzi progressivi, visto che non si possono ascoltare dischi a momenti ma solo la globalità di un lavoro può dire se è stato concepito con intenti progressivi o meno; qui si fatica a superare lo schema di semplice canzone, finendo col realizzare un disco che, benché ben composto e suonato, non può essere racchiuso nella serie "new-prog ‘90", sia che si intenda il genere come riproposizione di vecchie cose e neppure se nel progressive rock si ricerca innovatività.
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