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SYNDONE Odysséas Fading Records 2014 ITA

“Odysséas”, il 5° lavoro dei torinesi Syndone, è un album di rara ed estrema raffinatezza, che va idealmente a completare i due precedenti “Melapesante” e “La bella è la bestia”, progetti che erano subito apparsi come fra le opere migliori del prog italiano degli ultimi anni. A differenza dei due album citati, “Odysséas” si presenta indubbiamente come opera meno immediata e fruibile, soprattutto ai primi ascolti, ma a poco a poco vi conquisterà. I Syndone sono sempre Nik Comoglio (tastiere, composizione, orchestrazione), Francesco Pinetti (vibrafono e composizione) e Riccardo Ruggeri (voce e testi). Si aggiungono per l'occasione una orchestra d'archi completa, la chitarra acustica di Pino Russo, il basso di Federico Marchesano, il flauto di John Hackett in “Penelope”, vari strumenti a fiato (tromba, trombone, tuba, sax....), l'arpa di Sara Marisa Chessa e la batteria di Marco Minnemann (vero fuoriclasse dello strumento e già nella band di Steven Wilson). Se “Melapesante” argomentava sul significato simbolico del frutto e “La bella è la bestia” invitava a guardare oltre le semplici apparenze, in “Odysséas” il tema è il viaggio, interiore e reale, a fare da fil rouge dell'intera opera. Le tastiere orgogliosamente vintage di Comoglio non inficiano la “modernità” del suono grazie all'ottima ed attenta produzione. Si spazia con naturalezza da un mood “parente” degli EL&P, a sprazzi jazz-rock come nello strumentale “Invocazione alla musa”, oppure istanze acustiche, guidate dalla chitarra classica, vengono sapientemente enfatizzate dagli archi o dalla voce versatile di Ruggeri. Il fantasioso drumming di Minnemann, unito alle variopinte tastiere di Comoglio, ai fiati, ai tocchi di vibrafono, al possente basso di Marchesano e le ricche sfumature prodotte dal vocalist danno ulteriore valore alla splendida “Focus”. Il piccolo cameo di John Hackett con il suo flauto, il vago sapore etnico iniziale, le note struggenti del pianoforte a ricamare il finale conferiscono un aurea quasi mistica a “Penelope” complice la voce ispirata del solito Ruggeri. La tavolozza cambia ancora con “Circe”, un jazz-rock raffinato con un crescendo finale dominato dalle tastiere maestose di Nik. Il pathos ed il sentimento del pianoforte unito al vibrafono e ad una batteria mai invadente e l'estrema attenzione rivolta alle liriche (che danno ulteriore forza alla musica) non possono che farci apprezzare anche “Ade”. Potente (complici Minnemann e Comoglio) lo strumentale “Poseidon”. Ma è indubbiamente l'album nella sua totalità che si dimostra ricco, variopinto, fresco, vitale e mai banale. La voce di Riccardo Ruggeri, il gusto nei suoni prodotti dalle numerose tastiere di Comoglio, il vibrafono che sfuma i contorni in numerosi brani (“Nemesis”, “Ελευθερια”....), le ritmiche irregolari e complesse della batteria, gli altri strumenti a modulare gli interventi che di volta in volta necessitano per le composizioni, tutto contribuisce a creare un unicum davvero notevole. Tutto suona perfetto, geniale, elegante, sofisticato, di splendida ed “imbarazzante” beltà. Un album che potrà piacere o meno, ma che ci (ri)consegna un ensemble di caratura superiore e che quasi mette “soggezione” tanta è la bravura dei protagonisti. Anzi. Senza quasi.


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Valentino Butti

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