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Gli Abel Ganz hanno sempre corso a rimorchio di band più note come Pendragon e IQ, godendo della considerazione di un buon numero di appassionati del new Prog britannico, ma senz'altro lontani dai riflettori delle (si fa per dire...) grandi scene Prog. Sono stati certamente penalizzati dal fatto che i loro album sono stati realizzati unicamente su cassetta (a parte una ristampa bootleggata nei primi anni '90) e dal non aver dato notizie di sé al momento in cui il Prog ha rialzato la testa (a parte lo scadente "The deafening silence", espressamente sconfessato dalla band). I tre album realizzati negli anni '80, tra alti e bassi, presentano un Prog melodico, sempre orecchiabile ma quasi mai eccessivamente orientato al pop. I primi lavori vedevano nel ruolo di cantante Alan Reed, passato poi nei Pallas; la sua voce si adattava, a mio parere, senza dubbio meglio alle melodie degli Abel Ganz, piuttosto che al rock tirato, ma anche il suo successore Paul Kelly ha offerto un valido apporto alla causa della band.
Tutto questo riassunto delle puntate precedenti comincia ad avere senso quando si viene a dire che questo "Back from the zone" è un'antologia dei primi tre album degli Abel Ganz ("Gratuitous flash", "Gullibles travels" e "Dangers of strangers"), realizzati tra il 1984 ed il 1988, con l'aggiunta di un inedito ("Ventura") e della ri-registrazione di un brano ("The pretender"). Poco da aggiungere quindi per chi conosce già la band; da menzionare è la track list, che vede la parte centrale dell'album occupata dai 16 minuti della splendida "The dead zone", brano di punta del primo album, caratterizzata da un'atmosfera malinconica in cui la bella (in questo frangente) voce di Reed si muove alla meraviglia, con deliziose armonie ricamate dalle tastiere, ora romantiche, ora invece aggressive. Troviamo poi la prima parte di "Dangers of strangers", orecchiabile ma deliziosa, "Unholy war", "Little by little" e "Dreamtime", episodi minori ma pur sempre godibili per chi non disdegna le sonorità forse easy ma talvolta affascinanti del tipico new-Prog. La registrazione mostra i segni dell'età e dei mezzi limitati dell'epoca; la rimasterizzazione e la ripulitura effettuati non possono fare miracoli, ma talvolta, come in questo caso, un sound più grezzo e ruspante riesce quasi a donare qualcosa in più e ad alimentare quel senso di misterioso e malinconico che, ricordo, mi affascinarono quando ascoltai in origine gli Abel Ganz. La registrazione di "The pretender" ad esempio, che irrompe all'improvviso dopo le ultime soffuse note di "The dead zone" ci riporta alla realtà d'oggigiorno... e il risveglio non è dei più positivi. Sarà anche dovuto al fatto che il brano non è certo dei migliori, pur impregnato di un interessante feeling folk, e che il cantato fa molto rimpiangere i predecessori. La traccia conclusiva è inedita, come accennato in precedenza, ed è divisa in due parti. La prima di queste presenta ancora elementi folk, cosa che ci fa presagire una tendenza del genere per un eventuale nuovo album della band; il cantato, che dovrebbe essere appannaggio dello stesso Hugh Carter purtroppo lascia ancora a desiderare. La seconda parte della canzone torna leggermente sui passi degli Abel Ganz, con belle melodie di tastiere e un bel flauto che aggiunge il suo tocco fatato a una canzone che non può non lasciare qualche perplessità, se comparata col vecchio materiale.
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