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ABEL GANZ Shooting albatross Abel Records 2008 UK

La sfortuna ha sempre perseguitato questo gruppo che popolava l'attivo scenario inglese New Prog degli anni Ottanta: non passò infatti troppo tempo dalla pubblicazione del loro debutto, avvenuta nel 1983 con "Gratuitous Flash", che i Pallas si invaghirono del loro cantante, strappato poco tempo prima ai Trance Macabre, e se lo portarono via. Come se non bastasse, alla dipartita di Alan Reed seguirono altri importanti cambiamenti di line up che portarono alla sostituzione di bassista e chitarrista con la conseguente riduzione della formazione da cinque a quattro elementi. Nonostante tutto l'anno successivo uscì "Gullibles Travels", sempre su audiocassetta, perché evidentemente le finanze erano quelle che erano. Al 1988 risale il terzo album che vede il ritorno, come ospite, di Alan Reed, ma arrivano gli anni Novanta ed inizia un periodo oscuro e difficile per il gruppo, dal momento che se ne va il co-fondatore Hew Montgomery che, con le sue tastiere, imprimeva il suo inconfondibile marchio alla musica degli Abel Ganz. "The Deafening Silence", pubblicato nel 1994, ne risente pesantemente e bisogna arrivare ai giorni d'oggi (esclusa una compilation con inediti stampata nel frattempo) per vedere una nuova opera della band. Ecco che questo "Shooting Albatross" rappresenta l'album del grande ritorno, dal momento che segna anche la ricomparsa in formazione proprio di Hew Montgomery. A parte il tastierista, gli unici veterani della band sono il batterista Demis Smith ed il bassista Hugh Carter (che è poi l'altro co-fondatore, l'unico che non ha mai abbandonato la nave) e per il resto l'organico è totalmente rinnovato. Le prospettive ad uno sguardo esterno sembrano rosee: si fa subito notare il fatto che l'album è composto da sole 4 tracce che oscillano dai 13 di "Sheepish" ai 23 minuti di "So Far" e questo ci fa pensare ad un progetto ambizioso. Sarà vero? Purtroppo devo dire che la delusione sopraggiunta già con le prime impressioni di ascolto, e che gradualmente si è fatta più concreta con l'inesorabile passare dei minuti, è stata cocente. Gli Abel Ganz ci riportano indietro nel tempo agli anni d'oro del New Prog, con uno stile musicale che negli anni Ottanta fece la fortuna di diverse band (non degli Abel Ganz) e la gioia di una fitta schiera di fans, e questo non è assolutamente il problema. Un vero grande ritorno alle vecchie sonorità tastieristiche sarebbe stato al contrario auspicabile. L'aspetto che invece stona di più è proprio dato dalla povertà dei suoni, che appaiono brutti ed opachi, alla quale si associa la grave insufficienza degli arrangiamenti, scarsi e non idonei a sostenere canzoni oltretutto così lunghe. Non siamo più ai tempi dei demo tape, eppure, quando le risorse erano quelle che erano, gli Abel Ganz hanno prodotto dei lavori gradevoli e decorosi. Di per sé queste canzoni non sono tragiche sotto l'aspetto compositivo, ma l'impianto sonoro e gli arrangiamenti miseri le rendono quasi disastrose. Il cantato di Stuart “Mick” MacFarlane inferisce il colpo di grazia: oscilla fra le timbriche di Alan Reed e quelle di Hammill ma manca di personalità e a volte è quasi sfocato (per non dire stonato). Un vero peccato, perché in fondo l'idea delle canzoni lunghe, in cui comunque si riconoscono delle belle linee melodiche, intercalate al suono dolce dell'oceano e alle voci degli uccelli marini, mi piaceva. Un prog romantico che manca di spessore questo, nonostante che la band non difetti in quanto a creatività. Un'occasione mancata che non riscatta tanti anni di sventura, peccato davvero.

 

Jessica Attene

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