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PETER HAMMILL |
Veracious |
Fie Records |
2006 |
UK |
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Eccoci, siamo qui, ancora con quel senso di benessere che ci ha donato il prodotto della reunion dei Van Der Graaf Generator, pronti ad affrontare un altro episodio della lunga saga hammilliana.
Siamo di fronte ad una nuova opera live e vorrei premettere, prima di addentrarmi tra le tracce e la loro descrizione, un po’ anomala. L’anomalia è soprattutto nel fatto che le registrazioni non derivano da un solo concerto o da una sola tournee, ma dai diversi anni trascorsi (1999 – 2004) nei quali Peter Hammill ha scorazzato con il violinista Sturt Gordon per le terre d’Europa e d’America. Quindi suoni, qualità, bilanciamenti e atmosfere un po’ troppo differenti. A questo si aggiunga che la presa diretta, senza nessuna sovraicisione e nessun lavoro di postproduzione, come voluta dallo stesso Hammill, determina quella crudezza del suono che ha portato l’autore alla scelta del titolo “Veracius”. Questo insieme di cose, purtroppo, genera una certa difficoltà nell’approccio e nel riascolto complessivo del lavoro che, per il proprio bene, deve essere un po’ autoimposto.
Fatto questo l’album si apre in tutta la sua bellezza e l’operato del duo salta fuori in tutta la sua forza espressiva fatta di equilibrismi vocali ed esercizi funambolici di violino, il cui impatto rende la drammaticità delle esecuzioni così lampante da far rabbrividire.
La scelta dei brani operata da Peter verte soprattutto su produzione medio recente e considerato che scaletta è già da diverso tempo in giro per i vari siti internet, ha creato non poche aspettative e l’ascolto di molte tracce è stato – almeno dal sottoscritto – atteso con impaziente curiosità.
Così niente perplessità, si parte con piano e voce spesso con strofe così nude che la voce di Hammill può permettersi di girovagare per il pentagramma, sprofondando in note che hanno quasi dell’incredibile. Arriva il violino giocoso, tzigano, a tratti serioso sparisce e riappare secondo uno schema arrangiato per sorprendere e allietare l’ascoltatore. A tratti il violino scorre come in un romanzo dell’800, dove ogni nota sembra una pagina voltata da una brezza serale, preludio al tramonto.
Il “folk duo”, come lo vuole chiamare lo stesso Peter, prosegue tra miseri applausi che sanno quasi di registrazione casalinga (il riferimento è, per quei pochi che lo possiedono, il live a tiratura limitata e numerata “A Strange A Wordly Man” dell’81). Alcuni brani si muovono invece sul binario chitarra acustica/violino, la versione live acquista uno spessore espressivo inaspettato e crea tanto patos che l’attimo tra la fine dei brani e l’arrivo degli scarni applausi sembra interminabile. Dei primi tre brani non vorrei citarne nessuno in particolare tanto è alto il gesto artistico che li accomuna.
Dal quarto brano si passa alle registrazioni del concerto di Jaffa in Israele del 30 marzo 2001, quattro tracce la cui registrazione è nettamente superiore al resto. “Nothing Comes” è commovente, “Amnesiac” lancia “Vera” (il nome del violino di Gordon) a suoni incredibili che ridondano, scoppiettano e riposano tra le pieghe di una canzone che in un crescendo, che sembra interminabile, porta Hammill a vertici espressivi senza pari. Uno dei migliori brani della raccolta.
Per chi pensava che i suoni cavabili da un violino fossero quelli e solo quelli ecco (provare per credere) “Nightman” e “Like Veronica” (fusa assieme alla precedente) le aspettative non sono tradite, le versioni live sono davvero notevoli.
Ancora due brani registrati come i primi quattro, negli USA 1999. “Bubble" è trasportata da un certo filo di anarchia musicale, Hammill al piano sembra rincorrere se stesso e Gordon sembra rincorrere la melodia senza avere punti fermi il tutto si muove su equilibrismi particolari, non certo facili. Per il brano storico, tratto da “Chameleon in the Shadow of the Night” 1973 “Easy to slip away” , attenzione gli animi sensibili e alla lacrimuccia che a tratti appare come naturale. Pelle d’oca alta un dito per l’intermezzo strumentale. “Primo on the Parapet” non è la prima volta che appare dal vivo nei lavori di Hammill. Per come la vedo io è uno dei migliori suoi brani degli ultimi tre lustri. Inutile dire che qui, a questi quasi 10 minuti, non manca proprio nulla. Il brano, dedicato a Primo Levi, che da solo fa un album. Altro brano dell’Hammill “antico” “Shingle Song” da “Nadir’s Big Change” del 1975. Si tratta di una delle canzoni più riflessive della carriera, in questa versione mantiene la tensione e l’ispirazione iniziale. Conclude la raccolta live “A Way Out” penalizzata da una registrazione un po’ ovattata, il cui movimento aritmico porta la firma su un gran lavoro.
In conclusione un disco proiettato in direzione di sentimento, intensità e non sul virtuosismo puro e fine a se stesso. Un lavoro che evidenzia maggiormente quel distacco che la dimensione live di Hammill, lascia alla dimensione in studio, dove - suo malgrado - l’intensità che sa donare non viene raccolta da tutti. Un disco che potrà piacere sicuramente agli hammilliani infaticabili, ma anche a chi volesse un disco dove l’amore per il mestiere trasuda da ogni traccia, donando uno stato di dolce stasi. Stasi, quantomeno, finalizzata all’attesa del nuovo lavoro in studio.
C’è una parte artistica del mondo che rischia di finire nel dimenticatoio, coccolata da una cerchia sempre più stretta di ascoltatori. Questi stessi abbandonano artisti su artisti con una semplice voltata di testa. Hammill non merita questo: la sua integrità artistica lo dimostra.
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Roberto Vanali
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