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Il Quebec, terra fertilissima per il progressive anni 70, anche oggi riesce a regalarci qualche realtà musicale interessante. Sulla scia dei gruppi più importanti (che non sempre fa rima con più interessanti) degli ultimi tempi come Spock’s beard, Tangent o Flower Kings, ecco il nuovo progetto del chitarrista Stephane Desbiens. Il canadese, pur non inventando niente di nuovo (i riferimenti al passato incidono in maniera determinante nell’economia del cd in questione), ci regala un lavoro che riesce ad emergere dalla massa dei dischi tutti uguali che ultimamente capita di ascoltare. Le influenze floydiane sono le più evidenti nelle sette tracce del dischetto di alluminio, ma anche gli amanti del new prog anni 80 rimarranno piacevolmente colpiti dalla bellezza di certi passaggi o di certe melodie che, anche se non inventano niente di nuovo, si ascoltano con piacere. “Closer to my soul/ Closer to Heaven”, la prima traccia del cd, è un vero e proprio omaggio al gruppo di David Gilmour ma, se avrete la pazienza di arrivare in fondo a questo lavoro, capirete che non siamo, però, di fronte ad una mera clonazione di suoni del passato (per fare un paragone non siamo di fronte ai nuovi RPWL, gruppo che ha molti punti in comune con i canadesi, ma a qualcosa di più complesso). Con il passare dei minuti, il suono prende una forma propria e ben definita, i riferimenti al passato servono solo ad introdurci in un mondo dove echi fusion, accenni di flamenco, spruzzate di Aor e Hard rock si fondono per formare melodie che rimangono bene impresse nella mente. Il lavoro è un concept che ruota intorno all’Everest (Sagarmatha è uno dei nomi nepalesi con cui viene chiamata questa vetta), i testi sono stati scritti da Francis Foy (che è anche il produttore di questo lavoro).e sono ispirati ai libri e alla storia di Maxime Jean, alpinista canadese che ha scalato tutte e sei le cime della catena montuosa nepalese. Importanti i nomi degli ospiti che collaborano con l’artista canadese. I più conosciuti sono Brett Kull degli Echolyn, Derek Sherinian, ex Dream Theater, e Stu Nicholson dei Galahad. Soprattutto quest’ultimo risalta nel progetto perché il buon Stephane è un ottimo chitarrista ma un cantante abbastanza anonimo e la performance del cantante del gruppo new prog inglese (anche se non da riportare negli annali del prog) fa risaltare questa lacuna all’interno del progetto. Questo lavoro, se fosse uscito per etichette più importanti, sarebbe sicuramente nelle top list progressive anche di molti magazine e siti patinati anche perché questo progetto non ha niente da invidiare ai top sellers megapompati di queste label sia dal punto di vista delle sonorità sia dal punto di vista del target a cui è rivolto. Un disco che nel suo genere è molto interessante e per la sua accessibilità adatto anche a chi vuole avvicinarsi al nuovo corso del rock progressive senza incorrere in brutte sorprese.
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