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Dal Québec provengono anche i The D Project, band che con il loro “Making Sense” è ormai giunta al quarto album e dove con la “D” nel nome della band si intende l’iniziale di Desbiens o meglio Stéphane Desbiens, chitarrista, tastierista, cantante e vero deus-ex-machina del gruppo. Il Québec è sempre stata una terra molto florida per il progressive, regalandoci una molteplicità di gruppi con una caratteristica identità regionale che li contraddistingueva. Tuttavia i D Project, a differenza di molti altri corregionali, hanno un sound spiccatamente anglo-sassone. Quando si ascolta “Making Sense” è impossibile non pensare subito ai Pink Floyd post-Waters e forse il fatto che il disco sia masterizzato dall'ingegnere di registrazione Andy Jackson, famoso soprattutto per la sua collaborazione con Gilmour e compagni, non è del tutto casuale. In particolare brani come “Making Sense”, “Missing Star” e in generale alcuni sprazzi di molti brani potrebbero tranquillamente comparire in un "Division Bell" qualsiasi. Non mancano momenti più hard, ed anche qui si pesca a piene mani dalla tradizione, con cupe cavalcate musicali decisamente crimsoniane oppure rimandi ai soliti Dream Theater e Rush (anni '80). Il pezzo iniziale “Rear-View Mirror” ne è un perfetto esempio. Il sound nel complesso è molto patinato e pulito, generalmente incentrato sulle chitarre suonate da Stéphane e Sean Filkins e con le tastiere e i synth spesso a stendere tappeti per gli altri strumenti. Un ruolo centrale lo gioca anche il sax di Giovanni Ortega che, con assoli molto cool e un po' “piacioni”, evidenzia quelli dovrebbero essere i momenti maggiormente pieni di pathos. La voce ha un'impostazione molto AOR che si muove su melodie spesso poppeggianti e un po' scontate, come nei brani “What is Real” e “Dagger”. Si potrebbe fare le stesse considerazioni anche per “Nothing Here Is Innocent” ma quest’ultimo è caratterizzato anche da intermezzi musicali molto vintage, con chiari riferimenti ai Gentle Giant e ai già citati King Crimson. Un mix di tutta la proposta musicale dei D Project è ben rappresentata dal brano conclusivo dell’album, “Out of Range / Out of Line”, dove si alternano intermezzi acustici, i soliti assoli di chitarra, possenti riff, evoluzioni musicali in tempi disperi; dove in un unico calderone ritroviamo Genesis, Marillion e un po' tutti i gruppi già menzionati. Come forse avrete intuito, la proposta musicale della band canadese è abbastanza variegata ma con poca personalità. Il tutto suona di già sentito, molto politically correct e tranquillizzante. Pure nei momenti più “esotici”, come nella spagnoleggiante “Spanish Castle”, la band non si allontana da soluzioni abbastanza stereotipate. Il disco è indubbiamente ben suonato e ben prodotto; si lascia ascoltare con leggerezza, senza essere fastidioso, ma come dicono gli inglesi, il disco non è proprio la mia tazza di tè.
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