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Se adorate alla follia i Purcupine Tree smettete immediatamente di leggere e correte a comprare “Identity” degli Airbag!
Si può iniziare, e magari concludere, una recensione in questo modo? Ovviamente no, sarebbe ingiusto nei confronti di un album che ha certamente dei pregi, i quali coincidono però in buona parte anche con i suoi difetti.
Porcupine Tree dicevamo, e non c’è dubbio che il gruppo di Steven Wilson sia la principale fonte di ispirazione per questi norvegesi al loro primo album. Lo stesso gruppo e la casa discografica non tentano assolutamente di sorvolare su riferimento, anzi sembra che ne facciano un punto di forza. Gli Airbag appaiono come una versione più rilassata dei Porcupine Tree, eliminando quelle sfuriate chitarristiche pseudo-metal tipiche delle loro produzioni recenti. Se poi aggiungiamo una buona dose di Pink Floyd, soprattutto del periodo successivo alla metà degli anni settanta, un pizzico di ambient e post-rock, abbiamo la miscela che va a costituire la musica degli Airbag, autodefinita pomposamente come Atmosferic-Progressive-Rock.
Come suona questo disco in definitiva? Molto bene, si potrebbe semplicemente affermare. Identity è discretamente prodotto e suonato, oltre che curato nell’Artwork. Il termine Atmosferic è giustificato, l’album è composto da lunghe canzoni, scritte in modo da cercare di coinvolgere emotivamente l’ascoltatore, scagliandolo in un mondo di malinconia creato da lunghi passaggi strumentali dominati da tappeti di tastiere, sottofondi di chitarre acustiche, linee melodiche e assoli di chitarra elettrica dilatati in poche, lunghe note. Tra i brani degni di nota ricordiamo “No Escape”, con un bel riff che introduce la parte cantata, “Feeling Less”, dal ritornello particolarmente azzeccato, e la conclusiva “Sounds That I Hear”, con un assolo di chitarra decisamente gilmouriano, ancorché non particolarmente fantasioso. Meglio in questo senso l’iniziale “Prelude”, strumentale che ricorda facilmente “Castellorizon”.
I difetti dove stanno dunque? Mettendo da parte l’eccessiva somiglianza con i Porcupine Tree, che in fin dei conti potrebbe anche non essere un grosso problema, in seguito a ripetuti ascolti ci si rende conto che la struttura delle composizioni appare un po’ monotona, troppo simile a se stessa, ingabbiata in uno schema dominato dallo stesso ritmo lento in tutti i brani. Si sente la mancanza della sorpresa, di uno stacco dalla malinconica prevedibilità del disco, dagli arrangiamenti strabordanti di echi e riverberi. Se questo è proprio ciò che volevano creare gli Airbag, non c’è dubbio che siano riusciti nell’intento. Ci si può lasciar cullare dalla loro musica, apprezzando le melodie e i suoni soffusi, così come la si può trovare prolissa e ripetitiva, chiusa all’interno di una definizione di Progressive che appare poco rappresentativa del genere.
Gli Airbag hanno un buon seguito in rete, com’è evidente dagli ascolti conteggiati dal loro myspace. Attualmente sono al lavoro sui brani del nuovo album, grazie al quale, se riusciranno a limare le imperfezioni e a sviluppare una personalità più spiccata, potranno fare un salto di qualità rispetto al debutto, che merita comunque una piena sufficienza.
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