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Inizialmente questo album doveva essere il debutto solistico di Andy Tillison (tastiere e voce) dei Parallel or 90 Degrees ma, col tempo, l’esperienza di collaborazione con i musicisti chiamati a partecipare per la sua realizzazione si è trasformata in qualcosa di più complesso. Nascono così i Tangent composti per la precisione dall’immancabile Roine Stolt (chitarra elettrica e voce) da Zoltan Csórsz (batteria) e Jonas Reingold (basso) dei Flower Kings, da David Jackson dei VDGG al flauto e al sassofono, accompagnati infine da Sam Baine al pianoforte (Parallel or 90 Degrees) e da Guy Manning alla chitarra acustica. Devo dire che mi sono avvicinata a questo album carica di molti pregiudizi, dovuti soprattutto alla massiccia collaborazione dei musicisti della prolifica band svedese. Ebbene sì, Roine Stolt ha fatto un po’ la fine di Clive Nolan: da un po’ di tempo a questa parte ovunque passa, la sua indole maniacale e disinibita lascia il segno! Cosa temere ancora da questo progetto? Una riedizione dei Transatlantic?
Devo ammettere che i miei timori si sono rivelati, col trascorrere dei minuti, sempre più infondati. Certamente è riconoscibilissima la mano del maestro ma questa non prende fortunatamente quasi mai il sopravvento e non intacca l’energia e lo spirito della musica di questo strano supergruppo. Riguardo poi ai Transatlantic, considerateli, almeno per il momento, affondati negli abissi oscuri dell’oceano! Sarà forse il confronto con altre forti personalità artistiche, sarà forse che l’album nasce fondamentalmente dalla fantasia di Andy, sarà quello che volete, ma il risultato non mi dispiace affatto. Anzi, penso che se la musica dei Flower Kings avesse preso questa stessa direzione non si sarebbe svilita ed inflazionata come lo è invece da tempo. Trent’anni di musica attraversano in un favoloso volo pindarico l’opera dei Tangent, in un’incantevole mescolanza di prog sinfonico, Canterbury e fusion proposti in chiave moderna. Si tratta di una pozione musicale sicuramente divertente, accattivante ed intrigante, orecchiabile e complessa al punto giusto. Quattro sono le tracce, di cui tre sono suite ed una, “Up-Hill from Here” è un piccolo brano di 7 minuti. La suite di apertura, “In Darkest Dreams”, della durata di 20 minuti, non riserva grandissime sorprese: è interpretata in massima parte dalla voce di Roine ed è sicuramente impreziosita da spunti interessanti ma lascia anche spazio a ritornelli un po’ ruffiani. La parte più interessante è forse rappresentata dalla suite centrale, “The Canterbury Sequence”: questa volta l’interprete vocale è Andy e devo dire che la sua voce si adatta alla perfezione al genere proposto. Poche note di organo e parte un motivo sincopato un po’ funky con flauto e quello che sembrerebbe un contrabbasso; Andy scherzosamente inizia a cantare “...forse potrei essere ganzo mettendo su un po’ di Caravan o Hatfields come facevo a scuola...”; il resto è storia: parte la cover degli Hetfield & The North, “Chaos at the Greasy Spoon”, che viene incastonata alla perfezione al centro della suite. Pianoforte ed atmosfere più dilatate dominano la suite conclusiva che dà il titolo all’album. Non sarà certo la rivelazione del secolo, ma si tratta di un divertente e rilassante viaggio da intraprendere a mente leggera e senza bagagli.
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