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JAGA JAZZIST |
Starfire |
Ninja Tune |
2015 |
NOR |
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Quando schiaccio il tasto play mi sembra di ascoltare un disco creato infilando in un frullatore jazz, elettronica, rock, tecno, pop e forse progressive. O forse no, a dir la verità non ne sono sicuro. La musica è talmente amalgamata e allo stesso tempo sfaccettata che riuscire a distinguere una linea guida, un punto di riferimento, è praticamente impossibile. E se nei primi album dei Jaga Jazzist il jazz e la fusion erano presenti in forma evidente, anche se destrutturati e ricostruiti per adattarsi al marasma sonoro, ora è lo spostamento verso l'elettronica e la sperimentazione a dominare. Ci sono ovviamente ancora i fiati, gli archi, le percussioni ed il piano ma l'ossatura dei brani è in buona parte basata su un'orgia di sintetizzatori che emergono durante lo svolgimento o ne sono parte essenziale. Uno dei punti di forza dell'album è la sua struttura apparentemente caotica, che in realtà nasconde una notevole precisione geometrica difficile da seguire, tanto è mimetizzata negli arrangiamenti. I brani non si basano su uno schema tradizionale, che sia quello banale della canzone o quello complesso del progressive. Si tratta sostanzialmente di un crescendo di trip basati su linee melodiche che si intersecano tra loro, con la batteria a fungere da strumento solista allo stesso modo degli altri e una ritmica ossessiva il cui scopo è di causare una sorta di stato di trance all'ascolto. Personalmente, tendo a vedere "Starfire" più come una lunga suite che come una serie di brani separati tra loro. Ci sono delle differenze, alcune tracce hanno parti più sognanti (la title track), "Shinkansen" e "Prungen" contengono qualche tema etnico che può addirittura ricordare certe cose degli Ozric Tentacles, mentre le lunghe "Big city music" e "Oban" sono completamente e sfacciatamente elettroniche. Mi piace tantissimo questo disco ma capisco che tanti saranno infastiditi dal suo essere troppo radicale nell'aver privilegiato l'aspetto sintetico di scrittura e arrangiamenti, eppure per me questo è un suo tratto distintivo, insieme alla scelta dei suoni, alle impalcature costruite dai sequencer che sembrano voler scavare nel cervello dell'ascoltatore per infilarci a forza la musica, alla sovrapposizione di timbri acustici ed elettronici e al desiderio di voler spiazzare con improvvise esplosioni sonore. È quello che succede in maniera eclatante in "Starfire" e "Big city music", dove una grossa parte è studiata per creare un senso di aspettativa che indugia in un crescendo sempre più incalzante, sino al raggiungimento di una melodia liberatoria dove tutti gli strumenti sembrano sfogarsi in un orgasmo musicale. L'album, per insistere con le metafore, è un viaggio nel quale la musica è il mezzo di trasporto che può sostituire qualsiasi aereo, moto o automobile, e persino qualunque droga. Bisogna solo comprare il biglietto, accomodarsi in prima classe, partire e lasciarsi andare.
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Nicola Sulas
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2013 |
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