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Cosa sarebbe successo se gli Opeth al culmine della propria carriera non avessero fatto quell'incidente frontale con Steven Wilson e i suoi Porcupine Tree? Con le conseguenze (più o meno tragiche a seconda di chi ascolta) che questo ha creato alla musica del gruppo svedese?
Probabilmente oggi avremmo un gruppo molto meno amato dai proggers ma più duro… molto più duro. Il progetto “In Lingua Mortua” racchiude quanto di meglio c’è oggi in Norvegia per quanto riguarda il black metal, il tutto ricoperto da una patina rock progressive che fa diventare appetibile questo genere anche a chi non ha mai battuto certi sentieri sonori. Per non incorrere nell’ira funesta degli amanti del rock progressive sinfonico (ma anche del RIO, del Canterbury e del new prog), sottolineiamo che se non partecipassero a questo progetto determinati personaggi molto famosi del nostro mondo, difficilmente avremmo parlato (e avremmo fatto male) di questo disco (anche se i più aperti musicalmente saprebbero comunque riconoscere il valore delle composizioni di questo lavoro). E’ abbastanza strano infatti ascoltare elementi provenienti da White Willow, Wobbler e Jaga Jazzist come Lars Fredrik Frøislie, Jacob Holm-Lupo e Keitil Enarssen, alle prese con brani tiratissimi, doppie casse e growl estremo. Di certo questo “Salon de refusés” (molto più del primo album di questa formazione), risulterà spiazzante anche per chi fa del black metal la propria ragione di vita. Non mancano (e non sono nemmeno rari nelle undici tracce di questo lavoro) inserimenti di Mellotron, Clavinet, Hammond, MiniMoog, Arp, Fender Rhodes, mandolino, marimba, che rendono questo disco molto diverso da quello che di solito viene proposto anche in ambiente avantgard metal, post metal o altre pseudo etichette musicali assurde che oggi vanno tanto di moda. “Salon de refusés” è un disco che, se uno ha la pazienza e la voglia di andare oltre la voce che vomita, ad ogni ascolto riserva sorprese piacevolissime come passaggi ad alto livello tecnico, linee melodiche inconcepibili per gli standard del genere, aperture jazz spiazzanti. Non deve essere stato semplice mettere insieme quattordici teste diverse (sono infatti addirittura quattordici le persone coinvolte in questo secondo progetto a nome In Lingua Mortua) con differenti background e idee musicali, ma il risultato che ne è venuto fuori è per certi aspetti veramente incredibile. Brani come “Like an ocean”, “Cold void Messiah” o la jazzata “Full Fathom Five” ci dimostrano che, al di là del genere che si propone, quando c’è qualità, padronanza dello strumento, esperienza e conoscenza delle sette note, nel 2010 si può ancora rimanere impressionati da un gruppo musicale che non suona necessariamente come quaranta anni fa, ma che ha fatto propria la lezione sonora impartita quaranta anni fa.
Il tanto, a suo tempo, utilizzato (il più delle volte male) termine “crossover” è quello ideale per descrivere la musica che ci propongono Lars Fredrik Frøislie e compagni.
Al di là del facile entusiasmo che un disco del genere produce al sottoscritto, tornando con i piedi per terra, e mettendomi per un attimo nei panni del ventenne che nella sua vita ha ascoltato solo Emperor, Mayhem e Dark Throne, è indiscutibile che come al giovin virgulto questo disco aprirà porte infinite nel mondo musicale, è altresì altrettanto indiscutibile che questo stesso disco ad un quaranta-cinquantenne cresciuto a pane e classicismi, non farà sfondare le vetrine dei negozi di dischi per andarsi ad accaparrare il prima possibile tutta la discografia di Emperor, Mayhem e Dark Throne. “Salon de refusés” è un disco incredibile ma non per tutti. Paradossalmente non è né per i puristi del metal estremo, che probabilmente si romperanno le scatole come non mai di fronte a cambi stilistici, tempi dispari e aperture musicali a 360 gradi, né per i puristi del rock progressive che avendo mal digerito gli Opeth nello scaffale loro dedicato nei pochi negozi rimasti, potrebbero rischiare un colpo apoplettico nel vedere tra Iconoclasta e IQ anche un cd degli In Lingua Mortua… Fortunatamente come allo stadio non ci sono soltanto i gruppi ultras con la tessera del tifoso ma normali appassionati di calcio, anche nel nostro campo esiste una marea di appassionati musicali che non ci metterà molto a capire che questo “Salon de refusés” è una delle cose più belle del 2010. Provateci… Magari vi piacerà.
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