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Norvegia, terra fredda di miti, saghe e leggende, ma che ha dato anche i natali ad alcune splendide band autrici di pagine importanti del prog. Anche andando a spulciare tra i protagonisti della storia più recente del prog norvegese vengono fuori dei nomi che gli appassionati hanno imparato ad apprezzare non poco. Tra questi, un ruolo di primo piano è rivestito da Jacob Holm-Lupo e Lars Fredrik Frøislie. Il primo è attivo sulle scene già da un ventennio e si è fatto conoscere con dischi splendidi a cavallo tra folk, prog e rock con i White Willow, mentre il secondo, più recentemente, con i Wobbler ha puntato su ammiccanti soluzioni passatiste di prog romantico e sinfonico. Insieme, portano avanti anche il gruppo denominato Opium Cartel, che giunge nel 2013 al secondo album, intitolato “Ardor”. Coadiuvati dal batterista degli Anglagard Mattias Olsson e da altri validissimi collaboratori, i due puntano anche in questa occasione su una proposta musicale che si distanzia abbastanza dal sound dei gruppi citati, preferendo puntare su soluzioni caratterizzate da una maggiore immediatezza e da impalpabili e suggestive atmosfere. Basta spingere il tasto play del lettore cd e a mettere subito le cose in chiaro è l’opener “Kissing Moon”, attraverso pacate melodie di un pop raffinato, con alternanza di parti vocali maschili e femminili, batteria anche elettronica non invadente e reminiscenze del miglior David Sylvian. Da questa partenza gli Opium Cartel ci regalano una serie di tasselli all’insegna di un’orecchiabilità abbinata comunque a qualità, modernità e intelligenza, come dimostra ogni traccia di questo intrigante lavoro. Curiosa e riuscita la particolarità di unire spesso e volentieri il suono caldo e delicato della chitarra acustica, con dei timbri più algidi di tastiere. E se in determinati frangenti possono venire in mente i White Willow più diretti (“When we dream” e “White wolf”), gli spunti più vicini al prog e, sotto certi aspetti, più affascinanti, si avvertono quando il sound si fa più rarefatto e si ascoltano atmosfere pacate ed emozionanti (in particolare segnaliamo “Silence instead”, con ospite Tim Bowness, e “The waiting ground”, con magnifici passaggi di tastiere e mellotron). Le perle del disco sono però racchiuse nel finale. Dapprima c’è una piacevolissima versione di “Then came the last days of May”, ballad tratta dall’omonimo disco d’esordio dei colossi dell’hard rock Blue Oyster Cult, qui presentata in una veste ancora più elegante e cantata magistralmente da Venke Knutson, bravissima e nota reginetta del pop norvegese. Infine ci sono i dieci minuti di “Mariner, come in”, con intrecci pop-prog all’inizio ed una lenta e lunga cavalcata strumentale conclusiva con il sax ad abbellire ulteriormente il sound. Per far capire a cosa si va incontro con l’ascolto di “Ardor”, si potrebbero trovare ulteriori termini di paragone e tirare in ballo i vari Peter Gabriel, Japan, Paatos, Sigur Ros, Radiohead, Mercury Rev, che fanno capolino qua e là durante l’ascolto. La realtà è che comunque gli Opium Cartel si mostrano capaci di metterci tanta personalità, nonostante un approccio all’apparenza più semplice rispetto ai sentieri sonori che Lupo e Frøislie sono soliti seguire. Forse rispetto all’esordio siamo più preparati, sappiamo maggiormente a cosa andiamo incontro e accogliamo quindi, con benevolenza questo che riteniamo un buonissimo album di electro-pop moderno ed elegantissimo, che solo in pochissimi momenti si avvicina al prog e che punta soprattutto su trame docili, suoni puliti, atmosfere avvolgenti e sognanti e su un livello giusto di malinconia.
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