Evidenziando un certo tipo di accanimento nel cercare di pubblicare ogni ché della band, sono a segnalare il terzo volume della “Air rarities series”. Se da una parte, importante, c’è stata la possibilità di trovare chicche inimmaginabili, tutte queste uscite dimostrano che è anche vero che non può essere considerato tutto buono ciò che ha fatto una band, pur se considerata universalmente ottima.
Nel dettaglio di questo lavoro si rileva che la registrazione è stata effettuata nel corso del secondo festival germanico dedicato a band inglesi e americane. Siamo nell’epoca d’oro del progressive e non è strano trovare in un festival di questa natura, band di portata immensa. In particolare all’evento che si svolse a Germesheim il 22 maggio del 1972, parteciparono Pink Floyd, Deep Purple, Black Sabbath, The Strawbs, Uriah Heep, The Spencer Davis Group e tanti altri nomi davvero impressionanti.
Per l’occasione i Curved Air si presentarono con quella che, probabilmente, fu una delle migliori formazioni: Sonja Kristina alla voce e chitarra acustica, Francis Monkman alle tastiere e alle chitarre, Daryl Way al violino, Mike Wedgood al basso e Florian Pilkington-Miksa alla batteria.
In quel concerto il loro happening durò circa un’ora e in questo disco è interamente riportato, buono e brutto, cose riuscite e cose un po’ meno riuscite. La forza che la band sapeva sprigionare live c’è tutta, una potenza e un carisma davvero palpabile. L’avvio è con “No-Guitar Blues”, più che un brano compiuto ha il sapore del sound check, che immagino sia stato impossibile vista la quantità di band raggruppate in un solo giorno e pensando alla tecnologia live dell’epoca. Ma già con la mini suite “Everdance/Cheetah/Vivaldi” che raggruppa brani del secondo e del terzo album, le cose cambiano e il gruppo diviene trascinante e a tratti aggressivo, specie quando Monkman abbraccia la chitarra elettrica e lancia l’assolo di Way, il finale è con le tastiere elettroniche in primo piano che portano temi vivaldiani in pieno marasma rock. “Phantasmagoria” title track del terzo album è semplicemente splendida, Monkman è stellare un fiume di note, quasi un lungo assolo con Kristina che canta sopra. Il momento intimistico vedeva sul palco la sola Kristina con la chitarra acustica e i dolci temi di “Melinda (more or less)”. “Over and above” brano del terzo album che qui troviamo dilatato dagli otto minuti originali agli oltre undici, è un jazz rock di grande effetto, Monkman ritorna protagonista, ma gli intermezzi di violino non sono da meno. Kristina cede un po’ sulle note alte, specie verso il finale del brano, ma il risultato pone, comunque, il brano al vertice del disco. Il finale è dedicato alla lunghissima jam “Germersheim Jam / Vivaldi”, con i suoi quasi 32 minuti tutti strumentali lascia un po’ perplessi per il risultato. Buono certamente l’avvio tra sinfonico e space rock, via, via si trasforma in momenti di totale improvvisazione e, nella seconda parte l’improvvisazione muta in totale rumorismo, trasformando una serie di buone idee in caos totale e rendendo l’ascolto talmente affaticante che porta più volte a desistere. Pur mettendosi di buona lena e provando ad ascoltare con orecchie di allora, non c’è nulla da fare gli ultimi otto/nove minuti sono terribilmente tediosi. Tutto è reso quantomeno strano e fa un certo effetto sentire due strumentisti dalla compassata impronta classica (Monkman e Way) buttarsi in cose così estreme e brutali, ne deriva un senso distopico a tratti persino fastidioso.
Tra le molte cose buone e ottime dell’album è quindi necessario rilevare anche aspetti negativi, nonostante i quali, però, la conclusione è ampiamente positiva.