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RITUAL Glimpses from the story of Mr. Bogd (EP) Tempus Fugit 2020 SVE

Tredici anni! Tanto è passato da quando su queste stesse pagine cantavo le lodi dell’allora nuovo album dei Ritual (“The Hemulic voluntary band”), un album che ancora oggi tengo in alta considerazione e che arrivava come gradita riconferma dopo due prove forse non del tutto convincenti da parte della band di Stoccolma, il cui esordio del 1995 costituisce uno dei migliori tasselli della florida nuova scena prog scandinava di quel decennio. Da allora solo un’attesa apparentemente infinita, ma anche la consapevolezza che i quattro ragazzi svedesi non si fossero mai realmente persi di vista, grazie a periodici segni di vita documentati sulle loro pagine nei social network: accenni alla scrittura di nuovi brani, sporadiche sessioni di registrazione, qualche servizio fotografico… insomma i Ritual erano ancora vivi e lottavano insieme a noi! Di fatto, l’unico di loro ad aver mantenuto una presenza costante nell’ambiente era il vocalist/chitarrista Patrik Lundström, in qualità però di cantante dei riformati Kaipa di Hans Lundin. Immaginate quindi la mia sorpresa leggendo che l’EP in questione costituisce solo l’antipasto in attesa della pubblicazione di ben due nuovi album, il primo dei quali (“The story of Mr. Bogd part 1”) è atteso nel corso dell’anno 2021.
La band è oggi come ieri costituita dal già citato Lundström accompagnato da Fredrik Lindqvist (basso, mandolino, bouzouki, dulcimer, flauto dolce), Johan Nordgren (batteria, percussioni) e Jon Gamble (tastiere).
Il presente extended playing, in tiratura limitata di 1000 copie, comprende quattro brani (per un totale di circa venti minuti) estratti da entrambi i volumi del concept album (tre dal primo, uno dal secondo), ragion per cui sia a livello narrativo che musicale la compilation possa risultare un po’ incongruente, essendo la natura dell’opera completa concepita come ascolto unitario.
La scattante “Chichikov Bogd” introduce il misterioso uomo d’affari protagonista della storia e immediatamente si è trasportati nel particolarissimo ma familiare universo sonoro dei Ritual, fatto di melodie orecchiabili affidate alla voce versatile ed assai peculiare di Patrick (quasi una celebrità, in patria), cori in stile Queen o Kansas, contrappunti, aperture semiacustiche e tanta tecnica strumentale sempre a servizio della fruibilità dei brani; “Mr. Tilly and his gang”, dall’andamento di valzer, con le sue sovraincisioni e la voce filtrata risulta vagamente beatlesiana (pensate ad “I am the walrus”) e più eccentrica, mentre “The three heads of the well” rappresenta il lato “folk-rock acido” del gruppo, grazie all’influenza del bassista Lindqvist e dei suoi assortiti strumenti acustici a corda, assecondati dall’harmonium e dalle percussioni (tablas?) che aggiungono un tocco di musica indiana. “The mice”, sfiorando i nove minuti di durata, è l’episodio che più mi incuriosiva e certamente non delude, con la sua struttura a mini-suite e le sue mutazioni continue, con i riff di chitarra elettrica, le serpentine del basso melodico e le tastiere frenetiche a fare da contraltare alla decisa e aggressiva interpretazione vocale, che incornicia il brano più hard del lotto, quasi dei Gentle Giant sotto steroidi; il finale con le chitarre acustiche e gli archi del Mellotron cambia le carte in tavola e questa imprevedibilità è da sempre uno dei maggiori pregi dei Ritual.
Troppo poco, forse, per riuscire a prevedere di che pasta saranno fatti gli album completi, quello che mi sento di dire è che questo assaggio ci mostra una band in grande spolvero che ostinatamente persevera sulla sua strada, ossia lo stile inconfondibile definito venticinque anni fa, con qualche elemento di novità introdotto dal formato rock opera che probabilmente sposterà un poco l’accento sul ruolo del vocalist; se queste sono le premesse, ci sarà comunque ben poco di cui lamentarsi. Bentornati!



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Mauro Ranchicchio

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