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DISEN GAGE |
Libertâge |
R.A.I.G. / Addicted Label |
2006 |
RUS |
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Dopo aver esordito nel 2004 con quelle che di fatto erano vecchie composizioni, il gruppo russo torna sulle scene con l’ingresso del chitarrista Sergei Bagin al posto del dimissionario Yuri Alaverdyan, uno dei fondatori, andato via per seguire la propria vocazione professionale. Per il resto, formazione confermata in blocco, con l’altro chitarrista Konstantin Mochalov, il bassista Nikolay Syrtsev ed il batterista Eugeniy Kudryashov. Il lavoro si dimostra molto sperimentale ed affidato all’improvvisazione, suonandolo (dicono loro) totalmente in presa diretta. I due chitarristi si occupano anche degli effetti, portando avanti ed evolvendo l’attitudine crimsoniana già presente sull’esordio, accentuando l’approccio avant-rock e guardando magari anche alle asperità del RIO. Di certo, l’iniziale “Entrée” aveva evidenziato una buona vena compositiva, soprattutto dal punto di vista dell’atmosfera musicale, arrestandosi però sul più bello e terminando purtroppo con un nulla di fatto, troncando così sul nascere quella che appariva come un’ispirata vena creativa. Poi “The Crash” riprende la devozione verso Mr. Fripp, sfruttando i riferimenti più duri della sua creatura “color cremisi”, basati però su ritmiche chiaramente di estrazione jazzata; il pezzo è comunque qualcosa di abbastanza personale, sfociando poi nelle inziali percussioni meditative di “Attaque de Blindés”, in cui grava un’atmosfera che definire tesa è decisamente poco. Le percussioni continuano a rimbombare, mentre le corde suonano tipo quelle di violini distorti e maledetti. Poi però tutto cambia, divenendo una specie di baraccone dell’assurdo, in cui le chitarre si rispondono l’una con l’altra facendosi dei versi. La mutabilità di ambientazioni irreali diviene a sua volta emblema di “Bene Immobile di Tutti i Sicilia”, che fin dal titolo si pone come avanguardistica ricerca. Una esposizione musicale molto oscura, dove la sezione ritmica serpeggiante e allo stesso tempo battente svolge nella prima parte un ruolo tutt’altro che secondario, modificandosi poco prima del quinto minuto, continuando con particolari disarmonie e sottolineature quando sembrava che invece il pezzo stesse terminando. “Der Roboter Werters Dauern Minuten” è più dura ed insistente, con cenni ad oscuri richiami esotici e punte di robotica ossessività, ben in linea con il titolo in tedesco. “H5N1” è – scientificamente parlando – il virus dell’aviaria, evidente fonte di ispirazione compositiva per il pezzo omonimo. Una traccia dominata dalla batteria rutilante, una specie dì lungo assolo con effetti quasi da contraerea. Bravo Kudryashov ad andare avanti ad oltranza, sempre con la medesima energia, mentre attorno i compagni vanno costruendo dissonanti ambientazioni, ma… un intero quarto d’ora è davvero troppo da sopportare! E infatti la conseguenza immediata risulta essere la conclusiva “Sortie” (posta come da titolo in conclusione), una specie di meditazione che permette ai protagonisti di muoversi nell’oscurità più densa, in cui si stava venendo a creare nella prima parte un’eccellente evoluzione compositiva, di colpo interrotta per far posto a successive dissonanze, controllate ed echeggianti, che portano ad una quieta uscita di scena. Si sarà notato l’utilizzo di vari idiomi nell’arco di questo ritorno sulle scene, prediligendo la lingua francese fin dall’accento circonflesso nel nome del gruppo (solo per questa occasione). Tutto ciò dona ancor di più un senso di avanguardistica (ancora una volta) teatralità, scostante da quello che in genere è il gusto comune. Un secondo lavoro interessante, suonato in piena libertà (in linea col titolo dell’album, infatti), che fa ben sperare per un ulteriore sviluppo, ben sapendo che la proposta del gruppo russo non sarà mai particolarmente facile da fruire.
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Michele Merenda
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