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C'erano una volta gli INDIGO, nati da una co-stola dei mitici KYRIE ELEISON, un gruppo austriaco, in bilico tra tendenze Prog e velleità pop. Adesso di quel gruppo sono rimasti solo il fondatore Gerald Krampl ed il chitarrista Robert Altmann. Magari le indecisioni sulla tendenza da dare al gruppo hanno visto prevalere il Progressive, ma la musica che scaturisce dai solchi laser degli ultimi due lavori degli INDIGO soffre di una povertà estrema, dal punto di vista dei mezzi. Il buon Gerald come tastierista non si discute, ma il fatto che sia costretto a cantare toglie diversi punti dalla votazione totale; anche la batteria elettronica non aiuta, così come il ridotto ruolo giocato da Robert. Le composizioni non sarebbero per nulla disprezzabili, dal punto di vista delle idee, ma soffrono della suddetta povertà strumentale e della mancanza di arrangiamenti degni di questo nome. E allora sono meglio, secondo me, composizioni brevi e senza eccessive pretese, piuttosto delle canzoni a più ampio respiro come l'iniziale "Space odyssey", gradevoli solo a tratti, ovvero quando le tastiere prendono il sopravvento. Molto meglio, dicevo, godersi le composizioni più brevi in cui spesso predomina un'atmosfera intimistica, senza l'assillo della drum machine. Ah, se gli INDIGO tornassero ad essere un vero gruppo...
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