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ROZ VITALIS |
Enigmarden |
autoprod. |
2005 |
RUS |
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Nati come progetto solistico del tastierista Ivan Rozmainsky nel 2001, la one-man-band si è presto trasformata in un affiatato trio, completata da un'altra coppia di tastieristi: Nadezhda Regentova (tastiere e voce) e Vladimir Polyakov. Con questo terzo album in studio il gruppo si è ulteriormente arricchito di nuovi artisti nelle persone di: Klara Metelkova (voce, armonica e flauti) e Yuri Verba al clarinetto. La musica oscura e tenebrosa si perde in ritornelli ossessivi e distorti che sembrano presi dal patrimonio tradizionale locale (e in effetti "Ah Ty, Nochenka" è un motivo legato al folklore russo), amalgamati con guizzi avanguardistici e grottesche pennellate sinfoniche, in quella che potrebbe apparire la colonna sonora per uno scomodo viaggio in Transilvania. Il sentiero che si snoda lungo le 14 tracce (quasi tutte piuttosto brevi) è spesso malagevole ed impervio infatti e l'ascolto evoca immagini tratte da produzioni cinematografiche vampiresche a tinte fosche, facendo letteralmente correre i brividi lungo la schiena del povero malcapitato. Complice di questo alone di terrore è un organo distorto, che mi figuro adorno di candelabri e fitte ragnatele, ed un flauto dal suono piuttosto sinistro: ascoltate "Stress of Tenderness" e rabbrividite: la canzone altalena fra un organo suonato in maniera a dir poco agghiacciante e vocalizzi femminili in qualche modo gentili ma che evocano comunque qualcosa di funereo e raccapricciante. Altri pezzi, come "Hearterying" hanno l'aspetto di un rassegnato requiem. Le voci che mormorano in "Humilitas", con tanto di rintocchi di campane e un clarinetto che sembra provenire da un'altra realtà, sembrano quelle di una messa nera che si conclude con una specie di nenia intonata per cullare un bambino defunto (non a caso le campane sul finire del brano suonano proprio a morte). I temi orrorifici evocati dalla musica possono costituire a lungo andare un fattore di stress e l'ascolto può farsi in certi momenti estenuante: l'ascoltatore praticamente non ha tregua per tutta la durata dell'album anche se bisogna riconoscere che la band è riuscita a creare un lavoro particolare e dal fascino inquietante. Ulteriore elemento di disturbo è rappresentato dalla registrazione piuttosto rozza ed approssimativa: un vero peccato perché un ottimo lavoro in studio avrebbe potuto amplificare l'effetto di questa specie di piacevole (in qualche modo) tortura sonora.
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Jessica Attene
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