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Questo nuovo album del gruppo russo (il quinto in studio, se si escludono gli EP) si intitola "Compassionizer", ma non aspettatevi un briciolo di compassione: una volta collocato il dischetto nel lettore sarete travolti dal freddo abissale delle oscure ed inospitali lande siberiane, fino a visualizzare colonne di deportati che stancamente si trascinano verso l'obiettivo dei lavori forzati. L'impatto emozionale della musica è travolgente e vi spingerà ai limiti della sopportazione emotiva, senza alcuna compassione umana. Rozmainsky stesso (mente, tastierista e percussionista del gruppo, coadiuvato da Sydius alla chitarra e da Yuri Verba al clarinetto) ci avverte, sul retro copertina, che l'album si propone di smascherare e rivelare il lato malvagio dell'umanità moderna, materialista e vanagloriosa. Quindi siate pronti ad emozioni forti, strazianti e laceranti. Se avete voglia di flagellare la vostra anima non vi resta che accomodarvi: emozioni gotiche a tinte fosche, squarci di musica contemporanea e suggestioni elettroniche in un quadro sonoro orrorifico a metà fra l'antico e il moderno. Il suono del pianoforte agghiacciante, le campane tubulari che seguono con i loro rintocchi i battiti del cuore, melodie macabre e seducenti. Persino uno strumento leggiadro come il flauto ha un suono sinistro, come nell'incipit di "Tragic Fate", un brano dominato da ritmiche lente e spezzate, attraversate da sintetizzatori che ululano in un clima gotico e spettrale. Ad aumentare la tensione vengono inseriti improvvisi rallentamenti, dal sapore doom, in cui si fa strada un organo funereo da messa nera, le campane che si odono sullo sfondo lasciano presagire che qualcuno stia sempre lì ad osservarci con intenzioni non proprio amichevoli. Anche quando il pianoforte, dai suoni limpidi, ci concede melodie più pulite e in apparenza tranquille, come in "Autumn of Hypocrisy", è bene non lasciarsi andare troppo perché all'improvviso una scelta di suoni tormentati e dissonanti potrebbe farci sobbalzare. I ritmi sono nella quasi totalità dei casi molto rallentati e ci danno quasi la sensazioni di essere degli osservatori estranei e non graditi. A volte le melodie sono piacevolmente ossessionanti, come nella title-track, altre volte una maggiore linearità e pacatezza sembra quasi accendere una tiepida fiammella di speranza, come in "Elusive Goodness", ma altre volte ancora il percorso è assolutamente non lineare e tormentato, come in "Annihilator of Moral Hazard", un insieme di visioni che sembrano emergere con prepotenza dall'inconscio di una persona malata. I suoni sono in prevalenza agghiaccianti e spesso grezzi nella loro resa, e si dividono fra quelli di ispirazione classica, pianoforte e flauto, ed elettronici. Il loro ruolo è comunque quello di dipingere quadri psicologici complessi e dominati soprattutto da emozioni forti. Se siete riusciti a sopravvivere ad "Enigmarden" allora potrete provare questo viaggio nelle brutture dell'animo umano, scandagliato e torturato da Ivan Rozmainsky, che nella foto tra l'altro ha una faccia amichevole… ma io non mi fiderei…
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