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CONQUEROR |
Madame Zelle |
Ma.Ra.Cash |
2010 |
ITA |
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Avendo la fortuna di poter scrivere di un genere musicale che mi piace e di poter conoscere (nella maggior parte dei casi solo virtualmente) chi crea quelle emozioni sonore che ti permettono di provare ancora qualche sussulto dinanzi ad un bel fraseggio musicale o ad un brano ben riuscito, prendo spunto da questo quarto album dei siciliani Conqueror per condividere qualche pensiero su questo strano mondo di nicchia rappresentato dal rock progressive italiano di oggi. Mondo che in sostanza non conosce nessuno, ma per il quale siamo pronti a scannarci l’uno con l’altro. I Conqueror rappresentano bene questo mondo, perché hanno, come gruppo musicale, una storia oramai consolidata alle spalle, essendo una delle poche realtà che suona in giro piuttosto regolarmente non facendosi problemi ad esibirsi sul palco di un festival progressive di livello europeo piuttosto che su quello di qualche paese della provincia siciliana. A differenza di tante realtà italiane attuali i Conqueror hanno la qualità di chiacchierare poco, lasciando parlare per loro le note delle proprie produzioni. Produzioni che hanno i loro limiti ma che riescono sempre ad avere quel qualcosa che non ti fa abbandonare i loro CD negli scaffali più bassi e impolverati ma te li fa sempre tenere a portata di mano e di stereo. Il gruppo della provincia messinese lo trovo molto legato alle tradizioni della terra dalla quale proviene, soprattutto per la semplicità e per la bravura che dimostra nel raccontarti storie (cosa già fatto in maniera decisamente convincente in “74 giorni” con le peripezie di Ambrogio Fogar). E come i vecchi cantastorie siciliani, i Conqueror creano dei quadri sonori che rendono benissimo l’idea del film musicale che ci vogliono proiettare. Questo concept è incentrato sulla figura di Mata Hari e, a differenza di altri progetti dello stesso tipo, che a parte titoloni e pagine e pagine di spiegazioni (quando non si tratta proprio di libri) di concept album hanno ben poco, i Conqueror riescono benissimo a supportare musicalmente tutta la storia dell’agente segreto olandese unendo testo e musica come pochi (se non nessuno) in Italia sa fare. Il progressive di matrice sinfonica che il gruppo siciliano ci propone, dimostra anno dopo anno, lavoro dopo lavoro, di essere sempre più maturo e convincente. La qualità dei passaggi sonori di “Margarethe”,”Fascino Proibito” e “Indonesia” difficilmente si trova in gruppi più blasonati. Personalmente, come nei precedenti lavori, trovo dei limiti nel timbro vocale di Simona Rigano (bravissima come sempre alle tastiere ma dopo tanti anni non è oramai più una novità nemmeno questa) che trovo più adatta ad altri generi musicali e poco incisiva nei momenti dove servirebbe più atmosfera e profondità, aspetti che forse una cantante di ruolo e non divisa tra voce e tastiera saprebbe dare (parlo anche per quello che ho ascoltato dal vivo, purtroppo ancora solo su Youtube). Giocando al fantaprogressive, spesso mi son chiesto cosa sarebbe potuto diventare questo gruppo con una cantante di ruolo. E’ un gioco che faccio spesso con i gruppi italiani di belle speranze, ma nei quali trovo sempre qualcosa che mi piacerebbe fosse diversa.
Ecco… tornando alla premessa e facendo una generalizzazione sul mondo del prog italiano degli ultimi venti anni, questo nostro movimento nazionale è stato caratterizzato dal “come sarebbe stato bello se…” vale a dire da dischi ottimi, ma ai quali è sempre mancato quel qualcosa per arrivare alla consacrazione che avrebbero meritato non solo nella cerchia degli appassionati.
Logicamente non si può sempre giocare e, tornando alla realtà e ai Conqueror, onestamente non si può chiedere la luna ad un gruppo che è sempre stato praticamente nella stessa formazione sonora dall’inizio della propria carriera musicale e che ha trovato nel corso degli anni una formula sonora convincente e che da eventuali cambiamenti potrebbe paradossalmente anche perderci.
Godiamoci quindi l’ennesimo bel lavoro di Natale Russo e delle sorelle Rigano, che non ha niente da invidiare a produzioni più pompate e andiamo a vederli quando capita dal vivo, considerato che sono uno dei pochi gruppi italiani che lo fanno sempre e dovunque quando ne hanno la possibilità.
Uno dei dischi da ricordare nel 2010.
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Antonio Piacentini
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