E’ difficile la vita dei gruppi Prog, in qualsiasi parte del mondo: riuscire a mantenere nel tempo una formazione più o meno stabile e riuscire a proporre il proprio materiale dal vivo è sempre un’impresa. I messinesi Conqueror si sono ritrovati, praticamente dopo ogni album, a dover rivoluzionare la propria line-up, sempre col duo composto da Natale Russo (batteria) e Simona Rigano (voce e tastiere) a tirare le fila, oltre ad essersi dovuti riciclare negli ultimi anni praticamente a band tributo di Fabrizio De André, forse per poter avere la possibilità di suonare di più in giro. Per questo sesto album in studio, che giunge a cinque anni di distanza dal precedente e la cui lavorazione è stata molto lunga e travagliata, ritorna in formazione il chitarrista Tino Nastasi e viene inserita nuovamente una fiatista (sax, flauto e flauto elettrico) nella persona di Sofia Ferraro, dopo che si era dovuto giocoforza fare a meno di questi strumenti dopo l’abbandono di Sabrina Rigano. Completa la line-up il bassista Edoardo Ragunì ed il violinista Giovanni Alibrandi, ospite discreto che aggiunge varietà al suono.
Quel che invece lega quest’album al passato è la scelta di incentrare la narrazione su un personaggio, cosa che in passato aveva portato a narrare storie che avevano come soggetto e protagonisti Ambrogio Fogar o Mata Hari, decidendo questa volta di raccontare con musica e parole la storia ed i pensieri di Yuri Gagarin, prima e durante il suo famoso primo volo orbitale.
Musicalmente tuttavia non molto è cambiato, almeno stilisticamente. Abbiamo il solito gradevole rock sinfonico dalle sonorità spesso delicate ed eteree, pur non certo privo di momenti più ritmati ed impasti fusion, con il cantato di basso profilo della Rigano che è stato spesso criticato in passato ma che comunque è oramai divenuto un marchio di fabbrica del gruppo e sarebbe in effetti impensabile immaginare la musica dei Conqueror senza la pacata narrazione della tastierista.
Sette le tracce in cui si divide quest’album che narra, come si diceva, da un punto di vista umano sia le fasi precedenti alla missione di Gagarin, sia il durante, rappresentato dalle due tracce finali, il delizioso e brevissimo strumentale “09.07 a.m.” (che ovviamente è l’ora del lancio del razzo che lo porterà in orbita) per flauto e violino e la conclusiva “Star on the Moon”, brano solare e liberatorio delicatamente pop (che mi ricorda vagamente “Childhoods End?” dei Marillion).
Tornando all’avvio dell’album, questo inizia con “Fino al Limite”, brano morbido e lieve nella sua prima parte che anche nelle accelerazioni controllate mantiene una certa languidezza preparatoria, salvo concedersi sul finale a sentimenti d’inquietudine sottolineati da un sax molto vandergraffiano. “In Cerca d’Ali inizia anch’essa in maniera delicata, con umori più pop e apparentemente disimpegnati, per poi, decollare verso sentieri siderali in una sorta di intermezzo cosmico che non ha nulla di kraut, ovviamente.
“Verso un Nuovo Mondo”, assieme alla successiva “Kedr”, costituisce secondo me la parte migliore dell’album (e si tratta altresì dei brani più lunghi), con sonorità e ritmiche decisamente sbilanciate verso il jazz-rock la prima, più sinfonica e trascinante la seconda. Discreta anche la successiva “Un Disegno Perfetto”, strutturata per gran parte della sua lunghezza come una ballad che tuttavia dà più volte l’impressione di decollare senza mai farlo effettivamente.
Già parlato dei due brani conclusivi, constatiamo come “In Orbita” recuperi suoni ed ispirazioni che nel lavoro precedente si erano un po’ smarriti. Le vette della band sono ancora un po’ lontane comunque e l’album risulta forse un po’ monotono, al di là ovviamente del cantato che già conosciamo, senza accompagnare secondo me in maniera sempre adeguata le variazioni umorali della narrazione, ma adempiendo tuttavia al compito di compiacere i nostri sensi per 47 minuti abbastanza ben spesi.