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Tra i grandi della chitarra, Allan Holdsworth occupa un posto di primo piano per il modo con cui ha espanso ed evoluto il proprio stile nel corso del tempo, adeguandosi alla tecnologia e fungendo da ispirazione per tanti artisti nel corso di una carriera che supera i quaranta anni, oltre ad essere fonte di invidia per tutti i chitarristi che vedono come inarrivabile la sua tecnica, il suo modo di costruire i fraseggi, la sua capacità di sapersi muovere in maniera così naturale tra le scale e quella di conciliare un modo di suonare stellare senza sacrificare la sostanza compositiva. Se si escludono le esperienze come chitarrista di band ben conosciute nell’ambito del jazz-rock e del progressive britannico degli anni ’70 (Soft Machine, Tempest, Gong, U.K.), la carriera solista di Allan Holdsworth conta una dozzina di album in studio e qualcuno dal vivo, la cui qualità media si è sempre mantenuta elevata nel corso del tempo. Con un opera meritoria, la Moonjune Records ha ristampato, rimasterizzandoli in digitale, due di questi lavori, tra cui il presente “Hard hat area”. Definito dallo stesso Holdsworth come uno dei suoi preferiti, l’album rappresenta un perfetto esempio dello stile del chitarrista, sospeso tra fusion, jazz e rock in un mix strumentale che fa della melodia non convenzionale il suo punto forte; questa a volte sembra arrampicarsi verso strade ardite, alla ricerca di una vetta impossibile da raggiungere, in un crescendo vorticoso di note che stupiscono per fluidità e apparente spontaneità (mentre probabilmente tutto è scritto e pianificato), a volte perde la via per imboccare percorsi collaterali sospesi sull’orlo della dissonanza, ma è sempre sostenuta da una ritmica complessa e furibonda o da morbidi tappeti strumentali. A parte la chitarra, Holdsworth suona spesso il SynthAxe, sorta di chitarra-sintetizzatore con il quale produce suoni dal sapore tecnologico, molto evidenti nel brano che dà il titolo all’album (per chi non conoscesse questo strumento, di cui Allan Holdsworth è stato uno dei più accesi utilizzatori, oltre che uno dei pochi possessori al mondo, si tratta di una sorta di chitarra-controller synth dal bizzarro, e bruttissimo, aspetto, dotata di due gruppi di corde e di tasti, capace di produrre suoni ed effetti molto particolari). “Hard hat area” potrebbe essere definito facilmente come un disco per chitarristi, ma non per quelli che cercano la facile soluzione melodica, il semplice incastro fra le note e la sicurezza compositiva dei giri armonici consueti. Lo stile di Allan Holdsworth può senza dubbio risultare ostico, con i suoi suoni a volte dissonanti e cervellotici e l’apparente insistere verso il virtuosismo, che però è raramente fine a sé stesso. “Si ama o si odia”, è una definizione che bene si adatta alla musica del chitarrista britannico. Il consiglio, per chi ancora non lo conosce, è di provare a superare questa definizione e ascoltare l’album con la mente il più possibile aperta.
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