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PANZERPAPPA |
Astromalist |
Rune Grammofon |
2012 |
NOR |
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Ricordo perfettamente quanto mi colpì “Koralrevens Klagesang” già dal primissimo ascolto e mi sono un po’ dispiaciuta di non trovare subito quelle stesse sensazioni con questa nuova fatica discografica, giunta a distanza di sette anni dal predecessore. Per non fare un torto ad una band tanto preparata, attiva dal 1996, ricordiamolo, il recensore deve tornare sui suoi passi, riascoltare, rivalutare, pesare di nuovo col senno degli anni e degli ascolti passati. Un recensore deve andarsi a riascoltare tutte le vecchie opere o può farne tabula rasa facendo finta che tutto ricominci da capo? A voi l’ardua sentenza, la mia scelta l’ho fatta e sono passata nuovamente attraverso i briosi e artigianali demo del 2000 e del 2002, “Passer Gullfisk” e “Hulemysteriet”, per poi sondare l’avanguardia dal volto umano del bizzarro “Farlig Vandring” (2004), e rituffarmi infine nella poesia Canterburyana di “Koralrevens Klagesang”, l’album che ha originato i miei dubbi. Quest’ultimo rimane a parere di chi scrive il più equilibrato, ispirato e complesso dei Panzerpappa e confermo quel suo pregio di catturare l’ascoltatore fin da subito, riservando comunque diversi altri spunti per gli ascolti successivi. Sottovalutare questa nuova opera sarebbe però un peccato mortale: anche se l’orecchio ha bisogno di affrontarla più volte per penetrarla a fondo e decifrarne tutte le raffinatezze, questo non vuol certamente dire che si tratti di un album che manchi di spessore e di potenza artistica. Le melodie ariose di “Bati La Takton!”, disegnate dal sax e riprese poi dagli altri strumenti, sono rilassate e le sensazioni positive che trasmettono resistono alle tante e garbate variazioni su sentieri Canterburyani che si sfioccano durante l’ascolto. Le emozioni rimangono forse un po’ attutite ma la musica è abbastanza particolareggiata da destare un interesse tutt’altro che epidermico. “Anomia” arriva più dritta al cuore grazie ai tanti giochi di archi con viola, violino e violoncello, suonati da altrettanti ospiti, ed il vibrafono, scintillante nell’ambito di sonorità vellutate ed ammalianti. “Femtende Marsj” si fa più nervosa ed oscura ma senza perdere quella compostezza e quell’equilibrio che contraddistingue questo album in particolare rispetto ai precedenti. Ma la centrale “Ugler I Moseboka”, con il flauto di Ketil Vestrum Einarsen acquista un magico soffio sinfonico che colora languide melodie soft jazz e l’ascolto si fa incantevole e leggiadro, impreziosito da fitti e impercettibili giochi di percussioni, piano e tastiere in un insieme quasi Hermetico. In “Satam” lo squillo di una sveglia digitale viene sincronizzato con le robuste percussioni e Udi Koomran è l’artefice di tutti i rumori che si integrano nella maglia sonora martellante e prepotente che questa volta potrebbe trovare qualche affinità con i Present ma con sollecitazioni meno brusche. Con la title track torna quella piacevole giocosità che è uno dei tratti distintivi dei Panzerpappa e in questo caso il fagotto, il corno inglese ed il vibrafono offrono colorazioni sonore piacevoli ed interessanti, con squarci sinfonici aperti dalle tastiere. Viene lasciato in fondo il brano più lungo, Knute på Tråden, un brano sinuoso, dai riflessi mediorientaleggianti e dalle atmosfere misteriose, ma condito di riferimenti interessanti a Lars Hollmer. E’ impossibile non ammettere che si tratti di un’opera pregevole ed interessante ma forse un po’ attutita nelle emozioni, cosa che rende meno immediato il coinvolgimento dell’ascoltatore. Questo è un album decisamente cerebrale, suonato alla grande, ponderato in ogni dettaglio ma bisogna comunque dire che tutte le trovate Zappiane e goliardiche che in passato erano più rappresentate si sono andate via via diluendo a favore di soluzioni più lineari, anche se non meno complesse, a conti fatti. Possiamo godere della maturazione artistica di questi musicisti, sempre più Canterburyani e sempre meno avanguardistici, ma un tantino di energia in più forse non avrebbe guastato affatto. Sperando di non dover aspettare così tanto per un nuovo album auguro alla band di trovare qualche ingrediente insolito ed esplosivo da aggiungere ad una ricetta comunque ottima e ricca di sostanza.
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Jessica Attene
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