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CLEARLIGHT |
Impressionist symphony |
Gonzo Multimedia |
2014 |
FRA |
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L’antefatto ce lo narra nel retro-copertina Cyril Verdeaux in persona, da sempre anima dei Clearlight, progetto che nasce discograficamente nel 1973 con l’apprezzato “Clearlight Synphony”, album inizialmente accreditato come progetto dello stesso Verdeaux e da cui sarà tratto poco più tardi il nome della band così come ora lo conosciamo. Nel 2004 il nostro tastierista stava dando un concerto per solo piano presso l’ambasciata francese e fu così che l’ambasciatore si congratulò con Cyril dicendogli che aveva uno stile “impressionista”. Da qui dunque l’idea di comporre un’opera che si ispirasse agli impressionisti. Il sogno divenne realtà quando Cyril, recatosi in California per incidere le tracce per il progetto Spirits Burning & Clearlight, poté avvalersi dell’aiuto di Don Falcone, assieme al quale ha provveduto a raccogliere i contributi sonori di amici sparsi qua e là per il mondo e mixare poi il risultato finale grazie ad un efficientissimo home studio. Così come avvenne quaranta anni prima per il debutto discografico, questo nuovo album firmato Clearlight vede nuovamente la partecipazione del trio Gong composto da Didier Malherbe, Steve Hillage e Tim Blake; riguardo gli altri artisti reclutati citiamo altre presenze eccellenti come il batterista Paul Sears (The Muffins), la bassista Linda Cushma (Oxygene8) e lo stesso Don Falcone che suona le campane tubulari in un brano e al quale sono affidati mixaggio e produzione. Più che la descrizione sonora di certe opere pittoriche questi otto brani sembrano riprodurre il rapimento estatico che scaturisce dalla contemplazione dei dipinti di Renoir, Degas o Monet utilizzando il linguaggio del progressive rock, qui declinato con uno stile profondamente segnato dal romanticismo della musica classica (Cyril indica fra i suoi punti cardinali Satie, Ravel e Debussy), soprattutto per quel che riguarda il pianoforte, contaminato da elementi elettronici, rock, space e new age. Chi conosce le opere di Verdeaux sa che non sto scrivendo nulla di nuovo. Il legame con le opere passate, e soprattutto con l’esordio, si percepisce tutto, anche se in quel caso i colori dei synth suonavano più vintage e ora invece è stato dato maggior risalto alle tonalità orchestrali. Quel sapore rilassato, meditativo e quasi terapeutico impresso vivamente in queste tracce proviene invece molto probabilmente dalla successiva “Kundalini Opera”, una collana di album in cui Cyril si proponeva di unire la musica alla natura dei Chakra. Insomma, l’artista sembra quasi aver messo qui dentro tutto ciò che ha seminato nel corso della sua carriera, con amore, dolcezza e passione. I diversi elementi sono mescolati con grande equilibrio, “Renoir en Couleur” ad esempio, la traccia di apertura, si fa strada in un progressivo, graduale crescendo di motivi classicheggianti, abbelliti da echi cameliani ed esaltati dal maestoso violino di Craig Fry, ottimo musicista di estrazione accademica. La chitarra di Hillage fornisce una sottile ma robusta innervatura rock mentre il flauto soprano, e soprattutto il doudouk, flauto di legno di origine armena, offrono delle delicate connotazioni etniche. Troviamo poi qualche goccia di psichedelia ad appannare un po’ i suoni e tanto romanticismo che a volte sembra persino sfociare nel New Prog. In “Time is Monet” il flauto ha un che di celtico mentre piano e violino disegnano melodie ampie ed eleganti. In questo brano la scelta di utilizzare percussioni di matrice classica è molto indovinata e dona ampio respiro al pezzo che risulta decisamente rilassante. Invece in “Van Gogh 3rd ear” la batteria di Paul Sears sembra fin troppo sintetica, soprattutto in rapporto alla grazia della musica e del piano in particolare che emerge con delicatezza da un oceano di synth. Riguardo agli elementi elettronici, sparsi un po’ ovunque in questo album, ma sempre con oculatezza, in “Pissarro King” sembrano quasi delle variegate macchie di colore che esplodono poi come lingue di fuoco nel cielo notturno mentre le campane tubulari danno un’aria scintillante a questa traccia che infonde sensazioni gioiose e positive. In “Degas de la marine” l’atmosfera è solenne, quasi mistica e allo stesso tempo grandiosa e barocca. I campionamenti della tromba si intrecciano in mille volute col piano e conducono il pezzo in una lenta metamorfosi che sembra accompagnare l’ascoltatore come dal buio ovattato di una cattedrale verso gli odori e le luci della vita urbana all’esterno. In questa breve rassegna voglio infine ricordare la traccia di chiusura, “Monet Time Duet”, uno struggente dialogo fra il piano e il violino, dalle melodie delicate e meditative, molto efficace nella sua semplicità. Sicuramente si tratta di un ritorno gradito di Cyril “Clearlight” Verdeux che ci dona un’opera ben calibrata in cui riluce tutta la sua sapiente esperienza. Mancano un po’ le forti emozioni e a volte tutto sembra persino troppo misurato, colpa forse della lontananza dei musicisti che hanno interagito solo virtualmente, ma credo che questo senso di grazia rasserenata, di pura contemplazione non scalfita da sentimenti troppo forti, rientri ormai nel DNA e nella vocazione dell’artista che con la musica vuole anche intraprendere un viaggio interiore al quale l’ascoltatore potrebbe unirsi volentieri lasciandosi andare alle sensazioni positive offerte da questo album.
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Jessica Attene
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