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Per qualche oscuro motivo i gruppi di oggi che si rifanno ai vari King Crimson o Van der Graaf Generator sono in molti casi amati e rispettati, mentre quelli che più banalmente si ispirano (ad esempio) agli Yes o, meglio ancora, ai Genesis, sovente vengono trattati con sufficienza ed invitati ad avere un pizzico di originalità in più. Se poi le fonti di ispirazione sono addirittura di “seconda mano”, il new prog inglese degli anni ’80 per intenderci, beh allora… E se, ancora, ci troviamo di fronte, pensate un po’, ad un “one-man band” come gli Apogee… Ma facciamo un passo indietro. Il polistrumentista e cantante Arne Schäfer è uno dei componenti dei Versus X (band tedesca con 4 album all’attivo) e gli Apogee rappresentano le sue “divagazioni in proprio” che, con “The art of the mind”, raggiungono la rispettabile cifra di 8 album in 20 anni di carriera. Anche per questo nuovo lavoro l’artista tedesco (che nell’album, canta e suona basso, tastiere e chitarra) è coadiuvato dal batterista Eberhard Graef. Solamente 5 i brani presenti, tra le quali l’immancabile suite, per quasi un’ora di piacevoli suggestioni e buon gusto. Il brano iniziale, che dà anche il titolo all’album, è ricco di spunti e costruito molto bene: ottimamente suddivisi gli spazi solistici offerti dalle tastiere (sempre molto “romantiche”) e dalla chitarra, strumento principale di Arne. L’inserimento di delicate sezioni acustiche con flauto, tastiere e chitarra, evidenziano una buona ispirazione e, nel contempo, aumentano considerevolmente l’appeal del lungo brano. Insomma, tutti gli “ingredienti” appetibili al pubblico (new) prog sono stati inseriti e ben amalgamati. Seguono poi altri 4 brani di durata inferiore, ma comunque sempre intorno ai 9 minuti. Il “feeling” è quello della suite e pure lo stile, affrontato ora in maniera più decisa, ora con piglio più soft, sempre supportato da un ottimo impianto melodico. Abbiamo quindi, ad esempio, “The games you play” con un bel ritmo sostenuto e con la chitarra di Schäfer che “graffia” spesso e volentieri, pur non mancando delle sezioni più tranquille. Anche “Inside the wheel” è un pezzo di valore con gradevoli incursioni “tastieristiche“ che mai sfociano nel “pomposo” o, peggio, nel kitsch, ma tutto è composto e misurato ed anche ispirato. La mancanza di forzature, di barocchismi esagerati e di virtuosismo eccessivo sono un altro aspetto positivo dell’album che fa della naturalezza delle composizioni la sua forza principale, senza mai scadere di tono, tutt’altro. E non mancano le “chicche”: qualche fraseggio tra flauto e tastiere, ad esempio, sempre funzionale alla composizione e mai semplice esercizio di stile. Certo non sempre è facile apprezzare appieno le one-man band (anche se negli Apogee, nello specifico, c’è l’appoggio di un batterista di ruolo), ma in questa ottava fatica di Schäfer, così felicemente intrisa di fresca melodia, non vediamo grosse pecche e ne consigliamo senz’altro l’ascolto. Niente di troppo impegnativo ma, anche per questo, gradevole.
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