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Ci sono pochissimi artisti o band che, con una lunga carriera alle spalle, riescono ancora ad essere innovativi o, perlomeno, abbastanza originali. La maggior parte “preferiscono” ripetere, con maggiore o minore ispirazione, cliché consolidati che, se da un lato fidelizzano un certo tipo di ascoltatore, dall’altro possono lasciare perplessi chi vorrebbe “abbeverarsi” a qualcosa di nuovo. Questa doverosa premessa è per introdurre il nono album solista di Arne Schäfer sotto l’ormai consolidato monicker di Apogee. Una carriera iniziata con “The Border of Awareness” nel 1995 e continuata sino a “The Art of Mind” del 2015 e di cui “Conspiracy of Fools” è il recente successore. Come anche nelle precedenti occasioni Schäfer suona tutti gli strumenti (chitarre elettriche ed acustiche, basso e tastiere oltre a cantare) e continua pure la collaborazione con il batterista Eberahard Graef (che si protrae da tre album). Ampiamente prevedibile, per chi conosce anche solo parzialmente la discografia della “band”, la proposta che andremo ad analizzare: un piacevole prog sinfonico, con lunghe digressioni strumentali, tastiere sgargianti e chitarre aggressive a passarsi il testimone con frequenza, buon impianto melodico e brani… lunghi!! Nulla di nuovo, per i più. Ciò che si voleva ascoltare (ancora) per gli altri. Ed entrambe le “correnti” hanno la loro parte di ragione. Nulla da eccepire sulle qualità di Schäfer (non si pubblicano nove album per caso) che grazie ad un vero batterista (sovente le one man band difettano della presenza di batterie programmate ad inficiarne non poco il prodotto finale) riesce a produrre musica di qualità il cui difetto principale, in fondo, si riduce alla durata eccessiva (settanta minuti, cinque suite ed un brano più breve) del CD. In tutto questo splendore sonoro, emerge la title track, posta ad inizio lavoro, che rappresenta l’apice compositivo dell’album. Ben bilanciate le parti solistiche di chitarra e tastiere con queste ultime protagoniste di scorribande avvincenti e molto melodiche. Riferimenti? Il new prog inglese, i Pendragon, ci pare di scorgere, in primis. Spettacolare il finale della seconda suite “Incomprehensible Intention” con synth mozzafiato che faranno sobbalzare gli appassionati del prog melodico-sinfonico. Nessuna nuova… buona nuova. In “Override Our Instincts” a tutto questo si aggiungono, per buona misura, cori eterei di sicuro effetto. “Losing Gentle Control” è la mosca bianca della raccolta: cinque minuti di suggestioni acustiche. Carina, nulla più. Il trend ritorna il solito (poteva essere altrimenti?) con “Colors and Shades”, con qualche bel momento orchestrale in aggiunta alle scorribande strumentali di Schäfer. Chiude “The whispering from outside”, altri tredici minuti che faranno la felicità dei più incalliti new-progsters ed irriteranno oltremisura quelli più “colti” ed intransigenti. Al netto di tutto ciò, ci rimane un album godibile, che non ha la pretesa di insegnare qualcosa a nessuno, ma onesto e ben suonato sebbene troppo lungo. Ma questo l’avevamo già detto.
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