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“La Maschera Di Cera” è senza dubbio uno tra i più importanti gruppi prog italiani degli anni 2000. Proprio lo scorso anno (2022) avrebbero dovuto festeggiare i venti anni di carriera, senonché le problematiche ancora legate alla pandemia hanno costretto la band a posticipare i festeggiamenti e i relativi concerti al 2023. Infatti, già in questi primi sette mesi dell’anno Zuffanti e soci hanno avuto modo di essere “on stage” in Inghilterra (per la prima volta in assoluto), in Canada e di organizzare alcune date anche in Italia. In concomitanza del ventesimo (più uno) anniversario dall’uscita del primo album omonimo (2002), la sempre attenta BTF/AMS ha pensato bene di ripubblicare (dopo l’edizione del 2010 - 2011), il primo lavoro e anche il successivo “Il Grande Labirinto” (entrambi in formato paper sleeve e con l’aggiunta di sei bonus tracks, quattro sul primo e due sul secondo) per rendere ancora più intrigante la pubblicazione. Nel corso degli anni la band ha saputo rinnovarsi conservando sempre uno “spirito vintage” come ampiamente dichiarato sin dalla sua fondazione: rendere omaggio al prog italiano più oscuro degli anni ’70. E possiamo tranquillamente affermare che Fabio Zuffanti e Agostino Macor (i due principali compositori) unitamente al vocalist Alessandro Corvaglia, ad Andrea Monetti al flauto e a Marco Cavani alla batteria, hanno dato vita a due lavori, a modo loro storici. Con “Lux Ade” (2006) la band cambia batterista con Maurizio Di Tollo invece di Cavani, ma mantiene ancora il gusto per le lunghe composizioni, mentre il successivo “Petali di Fuoco” esplora maggiormente la “formula” canzone confermandosi comunque molto ispirato e con l’inedita aggiunta di un chitarrista (Matteo Nahun) ad ampliarne lo spettro sonoro. Del 2013 l’opera più ambiziosa “Le porte del domani/ The gates of tomorrow” sequel o, meglio, finale alternativo di “Felona e Sorona”. Segue una pausa di sette anni per arrivare a “S.E.I.” con i soli Corvaglia, Zuffanti e Macor della formazione originale con, in aggiunta, Martin Grice al sax e al flauto e Paolo Tixi alla batteria (sostituito da Andrea Orlando in sede live). Ma facciamo un passo indietro e torniamo alle due ristampe in oggetto. L’album d’esordio si apre con i 19 minuti della title track, paradigmatica della proposta annunciata dal gruppo: le sonorità vintage, i rimandi ai gruppi italiani più “dark” dei “seventies” (Museo Rosenbach, Il Balletto di Bronzo…), la voce di Corvaglia che tanta parte ha e avrà nei positivi riscontri raccolti dalla band, le numerose tastiere (Moog, Mellotron, Hammond…) di Macor che, senza “scimmiottare”, crea un proprio sound distintivo. E, ancora, il basso filtrato di Zuffanti che rende ancora più cupo il sound, così come il flauto di Monetti sempre prezioso nelle rifiniture. Non secondario, anzi, l’aspetto melodico, davvero sempre convincente. Insomma, sono passati più di 20 anni, ma il brano rimane uno dei capisaldi del prog italiano degli ultimi due decenni. Si continua con “Del mio mondo che crolla” che sfiora i sei minuti. L’atmosfera, se possibile, è ancora più “malata” e tetra con i suoni “sinistri” prodotti da Macor e da Zuffanti, ben supportati dal flauto e dalla fantasiosa batteria di Cavani. Il cantato sofferto di Corvaglia chiude, al meglio, questa sorta di cerchio oscuro. Quasi crimsoniana, del primissimo periodo, l’introduzione di “Del mio abisso e del vuoto” con il basso, il flauto ed il piano a prendersi la scena. Il cantato aspro di Corvaglia scuote poi la band ed in particolare il Moog di Macor, autore di un effervescente intervento. Tornano poi le atmosfere più spettrali, complici il flauto di Monetti, il cantato inquietante, il basso ipnotico, il Mellotron e la voce lontana di Nadia Girardi, ospite per l’occasione, che sublimano l’angoscia che ne scaturisce. “Del mio volo” è, invece, più tradizionale, con chitarre acustiche e flauto a sottolineare i primi due minuti. Un poco di synth, la crescita ritmica costante, la voce che si increspa ed il pezzo sboccia definitivamente. Ritorna quindi la chitarra acustica, l’organo deborda con le sue calde sonorità, il tutto sostenuto da una ritmica possente. Si chiude qui l’album ufficiale, ma la ristampa presenta, come detto, quattro tracce bonus. L’effervescente “La tua gente” (una delle sei parti in cui si divide la suite iniziale) è la prima, ma il bello arriva con le due tracce successive. La versione “demo” di “Del mio mondo che crolla” suonata in trio da Cavani, Macor e Zuffanti. Una versione grezza, con Zuffanti al canto, il basso ancora più potente e le tastiere più sperimentali di Macor. A seguire l’altra versione “demo” di “Del mio abisso e del vuoto”, sempre in formato power trio. Qualche cambiamento rispetto alla versione finale (ancora più “horror”…), ma, in nuce, si scorgono già le grandi potenzialità del pezzo. Chiude poi, la versione “alternativa” di “Del mio volo”. Un album, l’esordio della MDC, davvero splendido, che conquistò gli amanti del progressive italiano più tenebroso e misterioso e che, ancora oggi, mantiene inalterato il suo fascino, oltre ad essere uno dei vertici artistici del nuovo millennio per quel che concerne la musica che tanto amiamo. La band, particolarmente ispirata, decise di riproporsi subito l’anno successivo (il 2003) con “Il Grande Labirinto”. La line up rimase inalterata, anche se era stata introdotta la chitarra elettrica suonata dagli stessi Macor e Zuffanti e dall’ospite Nick Le Rose per quel che riguarda le parti solistiche. Il lavoro si dipana su cinque composizioni, quattro di lunga durata (dai dieci minuti scarsi ai ventidue abbondanti) a cui si aggiunge la breve ”Il canto dell’inverno”. Si inizia con la prima parte di “Il viaggio nell’oceano capovolto” (la cui seconda parte, chiuderà poi l’album) divisa in quattro sezioni: “La fine del viaggio”, “Il vortice”, “La consunzione” e “Il cristallo”. Il basso ipnotico accompagna il canto di Corvaglia, qualche intervento del piano di Macor, il flauto di Monetti, l’atmosfera sospesa… Inizia poi la fase più allucinata e sperimentale (“Il vortice”), quasi rumoristica con Mellotron, percussioni e basso ad ingigantirne il pathos. “La consunzione” è invece più “ariosa” (si fa per dire…) con belle melodie, la chitarra che fa capolino qua e là, la ritmica sostenuta, il solito grande Macor ed un altrettanto grande Monetti a “colorare” il tutto. La chiusura (“Il cristallo”) pare ancora una jam “schizoide” con rimandi al Re Cremisi. Neanche il tempo di rifiatare ed è la volta della title track. L’inizio è sempre profondamente coinvolgente, scandito dal basso, ed oscuro, e quando il brano si “apre” imperversano il Mellotron ed il flauto. La voce di Corvaglia mantiene alta la tensione fino al finale alquanto tetro e claustrofobico. “Il canto dell’inverno” è un breve interludio strumentale quasi interamente gestito dalle tastiere di Macor e con qualche intervento dell’oboe di Antonella Trovato. Segue “Ai confini del mondo” che ci riporta al più tipico sound del gruppo: suono possente, articolato, vario con i rimandi che si allargano, nei momenti strumentali, anche ai Genesis o agli EL&P, oltre che al Museo Rosenbach ed al Balletto di Bronzo come più volte ricordato. Ma non è finita qui. Ci sono ancora i ventidue minuti e mezzo di “Il viaggio nell’oceano capovolto Pt.2”, diviso in sette sezioni. Vera e propria pièce de resistence in cui si sfoga tutta l’energia e la fantasia del gruppo. Scariche di Moog, grande senso melodico, bagliori elettro-acustici, ritmiche ossessive… Insomma, un melting-pot in cui viene convogliato tutto il meglio di un certo dark- sound del pop italiano dei seventies. Eccellenti i momenti in cui emerge l’oboe della Trovato sostenuto dal duo Cavani/ Zuffanti, in un crescendo emozionante e spettacolare. Le due bonus track sono “La consunzione” (in formato singolo) e la versione alternativa di “Il grande labirinto”. La prima (privata di parte del testo iniziale) dimostra che può “vivere” anche da sola per le sue brillanti melodie. La title- track in versione strumentale, perde un poco del pathos che veniva assicurato (anche) dalla voce di Corvaglia ed anche dal punto di vista musicale la versione (comunque scartata) appare più moscia. Si tratta ad ogni modo di un bell’esempio di brano in “divenire”. Concludendo non possiamo che ribadire quanto i primi due album de “La Maschera Di Cera” siano pietre miliari del prog italiano, e non solo, del nuovo millennio.
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