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L’attesa è finita. Il nuovo album de La Maschera Di Cera “Le porte del domani” (“The gates of Tomorrow” il titolo dell’edizione in inglese) è finalmente in nostro possesso. Lungamente pubblicizzato come qualcosa di “mai tentato e mai osato”, “Le porte del domani” riprendono il discorso iniziato giusto 40 anni fa da Le Orme con “Felona e Sorona”, portandolo ad una possibile conclusione. Progetto intrigante, ma non privo di rischi: il paragone con il capolavoro del gruppo veneziano (una bella sfida, non c’è che dire….) ma anche il confrontarsi con critiche (per quanto costruttive) per un’operazione che potrebbe apparire stucchevole o priva di reale ispirazione. Ebbene da entrambe le ipotetiche situazioni il gruppo esce a testa alta, altissima, confezionando un lavoro di ottima fattura. L’importanza che si vuole dare al progetto è altresì evidenziata dalla pubblicazione di una versione dell’album in lingua inglese ed anche dalla possibilità di acquisire il cofanetto con le due versioni a cui si aggiungono vari gadget. Ma iniziamo con la storia. Ora Sorona è illuminato dalla luce e Felona, un tempo vitale e rigoglioso, è nell’oscurità assoluta. Con “Ritorno dal nulla” ci addentriamo nel concept: ripresa intelligente di alcune frasi melodiche e liriche dell’album del 1973 (a sottolinearne la suggestiva continuità) sottoposte a “trattamento” moderno. Sezione ritmica rocciosa, aperture sinfoniche decise, vuoti atemporali ben riempiti dal flauto, anzi dai flauti (oltre al “titolare” Andrea Monetti, l’illustre ospite Martin Grice dei Delirium), e la solita convincente interpretazione vocale di Alessandro Corvaglia. Il buio che avvolge Felona non può che essere foriero di drammatici eventi e “La guerra dei 1000 anni” ne è la logica conseguenza. E’ uno degli episodi più riusciti dell’intero album, sia dal punto di vista lirico che strumentale, malgrado la sua semplicità melodica, con ancora il flauto a far bella mostra di sé. Al fine lirismo di “Ritratto di lui” (Banco docet… a proposito, i testi sono del duo Zuffanti/Di Tollo), segue l’energica “L’enorme abisso”, con le numerose tastiere di Macor ad ergersi come protagoniste, ben coadiuvate dal flauto di Monetti e dal sax di Grice a conferire dissonanze crimsoniane. Si inserisce da par suo anche la chitarra elettrica (non più una novità per il gruppo) dell’ospite femminile Laura Marsano che indurisce ulteriormente il suono, per un brano tipicamente MDC. La sofferta “Ritratto di lei” (in cui la donna di Sorona invita l’uomo di Felona, di cui è innamorata, ad un viaggio spirituale per raggiungere la divinità e chiedere il sospirato equilibrio tra i due pianeti) anticipa un altro pezzo da 90: “Viaggio metafisico”. Il drumming “alla Bonham” di Di Tollo, il basso incalzante, il flauto molto rock di Monetti, un Corvaglia “arrabbiato” e le tastiere e la chitarra a saturare il tutto rendono il brano molto heavy. L’alternanza tra “lana pungente” ed il morbido velluto continua con “Alba nel tempio”: il flauto è ora delicato, Corvaglia si adegua con naturalezza, prima dello scintillante finale con tanto di splendido “solo” della rivelazione Marsano. La “Luce sui due mondi” e “L’uomo nuovo”, nato dall’unione della donna di Sorona e l’uomo di Felona, sono la speranza per il futuro. E’ un altro continuo crescendo che sfocia in un bel “solo” di Macor e che dà “il LA” ad “Alle porte del domani”, l’unico strumentale dell’album. Svolazzi hard psichedelici vanno ad intersecarsi con il leggendario tema principale di “Ritorno al nulla” di Dei Rossi e Co. Album ineccepibile per un gruppo in grande spolvero ed al massimo delle proprie capacità espressive che meriterebbe ulteriore e meritato riconoscimento, ed una pietra miliare per il nuovo prog italiano. Un omaggio sentito alle Orme (e non solo), ma eseguito con gusto, intelligenza e molto “mestiere” (il che non guasta ovviamente). Concludiamo ricordando che Lanfranco, già autore della copertina originale di “Felona e Sorona”, ha ”donato” una propria opera del 1968 a far da copertina a “Le porte del domani”. Nel segno della continuità appunto. Da cui proviene. Molto banalmente.
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