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L’annunciato e atteso nuovo album della “Maschera di cera” è finalmente fra le mie mani.
Una novità nella line-up: il bravo Matteo Nahum alle chitarre e, a mio avviso, anche qualche innovazione nel sound del gruppo. No, non preoccupatevi!! Il manifesto programmatico della band è rimasto quello: rifarsi coscientemente al pop italiano (si chiamava così) anni ’70. Ma c’è qualcosa che non colgo ai primi ascolti.
Paradossalmente, i brani brevi e (l’apparente) semplicità delle liriche e della musica, si discostavano dalle mie aspettative, tanto da farmi nutrire delle perplessità sul valore del prodotto realizzato. Questo perché i 6 ragazzi liguri hanno cercato e trovato qualcosa di diverso. Una formula canzone, sui generis, ma pur sempre canzone, che ha visto impegnata la quasi totalità dei componenti sia in fase di stesura dei testi sia nell’aspetto meramente strumentale. E, anche chi, come Matteo e Andrea Monetti (flauti) non figura nei credits dei brani, riesce comunque a ritagliarsi dei preziosi inserti nell’economia dell’album, vuoi con azzeccati solos (“L’inganno” solo per citare un titolo), vuoi con rifiniture di classe (“ Phoenix” su tutte).
Per il resto, dopo i primi ascolti, solo conferme.
Un ottimo vocalist (Alessandro Corvaglia), un drummer preciso e potente (Mau di Tollo, che scopriamo anche bravo autore in qualche brano e anche esecutore nel breve esercizio acustico di “4.18”), un tastierista duttile (Agostino Macor) compìto e all’apparenza sottotraccia in alcuni pezzi, debordante nella “sua” “Il declino”. E, ancora, il Deux-ex-machina Zuffanti, che si mette al servizio della band, ma si permette anche di regalarci quel gioiellino intimista che è “Tra due petali di fuoco”.
In un album dagli alti contenuti, menzione particolare per la macoriana “Il declino” ed il suo naturale seguito, lo strumentale “Phoenix”. Un bel intreccio di riff “pesanti” alla Uriah Heep e squarci strumentali che ci portano alla memoria il “Salvadanaio” del Banco nel primo caso; un crogiuolo di sensazioni la seconda (più vicina alla Maschera dei primi lavori), con l’autore in evidenza ben supportato dalla chitarra di Nahum e dal flauto di Monetti. Non un semplice esercizio di stile comunque ed un brano che nella dimensione “live” potrebbe anche divenire in una “celebration” di fine concerto.
Scavando nel fango (come dice uno dei brani) della musica italiana e non solo, abbiamo trovato in questi primi mesi del 2010 un album ed un ulteriore motivo per continuare ad amare questa musica e la Maschera di Cera in particolare.
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