|
Il rischio era grande. La posta in gioco altrettanta. Dare un seguito adeguato all'incredibile debutto, e a così breve distanza da esso, racchiudeva in sé due pericoli in qualche modo logici e preventivabili, anche se di segno opposto. Da un lato la tentazione di non modificare di una virgola la formula vincente, cadendo dunque nella ripetitività; dall'altro il possibile anelito a misurarsi su coordinate del tutto nuove, snaturando però l'essenza di un progetto che, quasi per magia, ha avuto in sé il dono di veder posizionati a regola d'arte tutti i tasselli. Evitando tali possibili derive, i timonieri Zuffanti e Macor hanno scelto opportunamente il centro del campo di regata, assecondati dallo stesso equipaggio di base - squadra che vince non si tocca - a cui si sono aggiunti alcuni importanti innesti quali la chitarra di Nick Le Rose, socio di Andrea Monetti, e soprattutto l'oboe di Antonella Trovato, determinante in un paio di occasioni. Zuffanti avverte che "Il grande labirinto non è un concept come il precedente album ma c'è un sottile filo conduttore che lega le canzoni: quello della ricerca per liberarsi dalle proprie costrizioni interne o esterne e cercare la propria strada e la propria libertà in autonomia e senza condizionamenti di sorta". A ben vedere, la tematica sa molto di "Zarathustra" del Museo Rosenbach, che non a caso anche qui costituisce un imprescindibile punto di riferimento. Per il resto, ritroviamo il lirismo dark del Balletto di Bronzo che, in più di un passaggio, si fa quantomai hard e oscuro, formando un preziosissimo cocktail sonoro da assaporare attimo per attimo. Un nuovo gioiello si ha subito con i 14' de "Il viaggio nell'oceano capovolto - parte 1", in cui i giochi armonici e ritmici si incastrano alla perfezione, fra le bordate del basso distorto di Zuffanti e le sapienti invenzioni di Macor al pianoforte e al mellotron: alcune lugubri tessiture mi hanno ricordato anche l'indimenticabile soundtrack de "L'aldilà" di Fabio Frizzi. La rapace voce di Alessandro Corvaglia mostra al meglio le sue doti nell'incredibile melodia de "La consunzione", momento ripreso come traccia autonoma alla fine del CD. La title-track prevede un riff di basso molto dark, cui tengono dietro il mellotron e il flauto di Monetti nella medesima direzione: l'assetto arrangiativo è sopraffino come sempre, e risultano aggressive ed originali certe dissonanze; significativo il finale paranoico/rarefatto. Decisamente weird la breve "Il canto dell'inverno": a metà fra Keith Emerson e Arturo Stalteri i giochi pianistici di Macor, che poi dona impressionistiche sensazioni col mellotron, cui segue il malinconico oboe. Ottime idee per il futuro. "Ai confini del mondo" si snoda invece a cavallo fra Trip e Osanna, ed è condotta con mano molto sicura l'alternanza fra le parti tranquille e gli squarci carichi di energia; semplicemente da pelle d'oca l'epica chiusura. Quanto agli oltre 22' de "Il viaggio nell'oceano capovolto - parte 2", ci troviamo probabilmente di fronte alla più grande composizione della Maschera di Cera. Il preludio voce-chitarra-mellotron-flauto deflagra in un coinvolgentissimo crescendo ritmico, mentre è addirittura indescrivibile la melodia del cantato: poche storie e fuori i fazzoletti, ci si può solo commuovere al cospetto di tanta bellezza! I bei ghirigori del moog, i guadi semi-acustici, i 'tarantolamenti' collettivi sono tutti fattori che concorrono in egual proporzione alla sublime statura della suite, che si chiude degnamente con un tema reiterato dall'oboe, via via doppiato dai singoli strumenti in un ripieno entusiasmante. L'impressione è dunque di aver ascoltato un nuovo, inarrivabile capolavoro. Supera o no il suo predecessore? Confronto arduo e forse anche un po' antipatico; preferisco cavarmi d'impaccio dicendovi che, se l'altro era perfetto, questo gli sta solo... alla pari.
|