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ELEPHANT9 Mythical river Rune Grammofon 2024 NOR

A tre anni di distanza da “Arrival of the new elders” arriva il nuovo album degli Elephant9, che segue grosso modo la scia del suo predecessore. “Mythical river”, infatti, si fa apprezzare per un sound un po’ più rilassato e meditativo rispetto alle opere nelle quali il trio norvegese si lanciava verso jam più impetuose. Agendo in questo modo, emerge ancora di più la classe di questi musicisti, che in oltre tre lustri sono riusciti a mantenere una produzione validissima sia in termini quantitativi che qualitativi. Anche in questa occasione, infatti, il livello dei brani è molto alto e la band fa l’ennesima ottima figura per la bontà della musica, così come per le esecuzioni precise e per la brillantezza compositiva. Il disco, come al solito interamente strumentale, si apre e si chiude con due brevi pezzi d’atmosfera intitolati “Solitude in Limbo”, mentre nella parte centrale c’è “Chamber of silence” e tutti e tre sono caratterizzati da un certo minimalismo, con un’aura un po’ misteriosa che contribuisce a trasmettere certe sensazioni un po’ ombrose e stralunate. Gli otto minuti della title-track possono essere visti come il manifesto che meglio descrive questo lavoro: il groove ritmico costantemente intrigante rappresenta una base perfetta per le invenzioni tastieristiche, che con naturalezza passano da echi di prog nordico reminiscente di Bo Hansson ad aperture verso il post-rock, senza disdegnare le inevitabili escursioni verso quel jazz-rock moderno di cui gli Elephant9 sono maestri. L’ampia gamma di strumenti utilizzati da Ståle Storløkken permette una piacevole varietà timbrica, visto che spazia tra organo Hammond, Fender Rhodes, minimoog, Arp pro, grand piano, mellotron e altro ancora. Autore di sette delle otto composizioni in scaletta, Storløkken conferma il totale affiatamento con i suoi compagni d’avventura Nikolai Hængsle (basso elettrico) e Torstein Lofthus (batteria e percussioni), sia quando i tre spingono un po’ di più sull’acceleratore, come accade in “Party among the stars” e nei temi ossessivi di “Star cluster detective”, sia quando su tempi un po’ più controllati, ma sempre pronti a variazioni, si lanciano in ipnotiche ondate prog/psych/cosmiche (“Heading for desolate wastelands”), sia, ancora, quando hanno voglia di sperimentazioni stranianti tra dissonanze che pian piano si sciolgono verso cavalcate jazzistiche più fluide (“Cavern of the red lion”). Tecnici, ma mai stucchevoli, dotati di forte personalità, votati ad un jazz-rock aperto a molteplici contaminazioni e sempre pronti a far evolvere il loro sound, gli Elephant9 continuano imperterriti per la loro strada e continuano a non deludere le aspettative, inevitabilmente alte, che accompagnano ogni loro nuova uscita.

 

Peppe Di Spirito

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