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Torna in azione il caustico trio norvegese formato da Ståle Storløkken (Fender Rhodes, Hammond, MiniMoog e pianoforte), Nicolai Hængsle Eilertsen (basso, chitarra acustica a 12 corde e percussioni) e Torstein Lofthus (batteria e percussioni) al quale si aggiunge, come ospite alla chitarra, lo svedese Reine Fiske, personaggio ben noto negli ambienti Prog soprattutto per i Landberk ma anche per altre realtà altrettanto valide come Morte Macabre, Paatos, Dungen e The Amazing, più recentemente. Siamo giunti così a quota tre album in studio ai quali si aggiunge l’edizione solo in vinile di un ”Live at the BBC”. La nuova fatica, registrata proprio ai celebri studi Atlantis di Stoccolma che danno anche il titolo all’album, segue ed amplia percorsi già tracciati in passato, fatti di jazz rock acido e psichedelia, affrontati con un approccio a dir poco sanguigno ed impetuoso, come ben dimostra già da subito la potente traccia di apertura “Black Hole”. Troviamo qui un gruppo ben allenato e motivato, che suona come preso da una sorta di rapimento estatico, cimentandosi in numerosi equilibrismi tesi fra istinto e tecnica: in questo caso sono le tastiere, Fender Rhodes in testa, a cavalcare l’onda fluttuante del basso e della batteria che si intrecciano in modo complesso ed imprevedibile. La chitarra di Reine, che pure interviene in sole quattro tracce (che sono quelle più lunghe in assoluto, fra l’altro) su un totale di sette, aggiunge dal canto suo, ove presente, una quarta dimensione ad un sound già pieno di carattere ed il suo ruolo appare in definitiva tutt’altro che marginale. Basti ad esempio prendere la title track, forse il fiore all’occhiello di questo ottimo album, che si apre proprio con la chitarra in evidenza che si muove filiforme attraversando scenari sonori estremamente dilatati, che ricordano quasi i Landberk, e che si addensano con l’andare dei minuti in una matrice jazz rock con un organo Hammond carico di atmosfera. E’ quasi sempre la chitarra a guidare l’andamento del brano, accompagnata dagli avvolgenti giochi delle tastiere lungo trame percussive calde ed elastiche che possono ricordare per certi aspetti il jazz tribale degli Egba. “Psychedelic Backfire” è un brano quasi catartico in cui chitarra ed organo competono fra loro creando ambientazioni rarefatte e fumose. Più energica è invece la conclusiva “Freedom Children” dove questa volta la chitarra si getta nel tumulto creato dagli altri strumenti, travolgenti e lanciatissimi in una corsa spericolata ed estatica. L’ultimo brano che vede la partecipazione di Reine è “A Foot in Both” dove questa volta il nostro amico svedese preferisce usare la chitarra classica per forgiare un sound sempre più impalpabile e dai contorni mal definiti. In casi come questo sono le astrazioni della psichedelia a prendere il sopravvento con le loro innumerevoli divagazioni, in altri invece, come accennato, è l’anima jazz rock a fare la parte del leone attraverso escursioni strumentali potenti ed impegnative, come può essere “The Riddler”, turbolenta ed enigmatica allo stesso tempo, con le sue distorsioni e le sue iperattive correnti ritmiche. Non possiamo che concludere che questo nuovo album è una ulteriore conferma della grandezza di questa band che dimostra di avere cervello, anima e soprattutto un caldo cuore pulsante e ovviamente è anche l’ennesimo progetto ben riuscito in cui Reine, il deus ex machina del nuovo prog scandinavo, mette il suo zampino d’autore.
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