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A lungo atteso, arriva finalmente il terzo album dei JADIS, il secondo del new deal che, dopo anni di gavetta, ha portato questo gruppo ad essere un'espressione di punta del Prog britannico. Al basso troviamo ancora John Jowitt, dopo che il bassista degli I.Q. aveva temporaneamente abbandonato lo scorso anno. Il CD contiene 7 brani nuovi nuovi, senza ripescaggi di vecchi (in)successi della band. Si parte con "Touch", subito un pezzo in stile JADIS, con la chitarra di Gary in primo piano. Dove sono le tastiere? Vado a rileggermi il booklet, e vedo che Martin Orford è ancora della compagnia; dopo "More than meets the eye", che pareva il frutto di un lavoro congiunto tra i due cervelloni (e infatti per certi versi era un album un po' atipico per lo stile del gruppo), si vede che Martin ha lasciato di nuovo lo scettro in mano al chitarrista. In effetti, come ebbe modo di affermare in un'intervista dello scorso anno, "gli I.Q. sono un gruppo basato sulle tastiere, mentre i JADIS sulla chitarra". Il secondo brano s'intitola "In isolation" e segue la linea sopra descritta, con la chitarra che passa in un batter d'occhio da un riff ad un assolo, supportata da una ritmica potente e precisa. "Daylight fades" è una canzone tra le migliori dell'album: per metà della sua durata mantiene un incedere più soffuso, con buone sottolineature di piano di Marlin, per poi dar fiato alla chitarra in un crescendo che sfocia nuovamente in un finale controllato, ancora col piano a deliziare le nostre orecchie. "Everywhere I turn" è un brano più diretto, quasi da rock FM: hard rock non esasperato, coretti e... un assolo di tastiere che dura 10 secondi; non disprezzabile, comunque. La successiva "A life is all you need" è la più breve composizione del lotto, ma non certo la peggiore: atmosfere soffuse e chitarra sognante per un pezzo gravido di complicità. Siamo quasi alla fine del CD: "The world on your side" inizia con una melodia che Martin alterna al flauto ed al synth. Bell'inizio per un pezzo che però alla fine mi lascerà un po' insoddisfatto, nonostante in esso si sentano finalmente le tastiere (compreso il Mellotron). La traccia finale riabilita la precedente: "No sacrifice" comincia con la voce di Gary sorretta solo da un sottofondo spaziale, ma lascia presto il posto ad un 4/4 in crescendo che, dopo vari breaks, arriva ad un finale in calando (he he...). In conclusione, questo nuovo album dei JADIS, pur qualitativamente e musicalmente ineccepibile, è secondo me inferiore alle aspettative. I motivi li ho esposti all'inizio; non sono motivi sufficienti per dire che è un brutto disco, ma non sono rimasto soddisfatto al 100%.
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