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JADIS |
Jadis |
Black Beat |
1989 |
UK |
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Quest'album è storia passata, come si può leggere dall'intervista a Gary Chandler. Il lato A è stato infatti registrato nel 1989 e il lato B addirittura nel lontano 1987. La produzione è di Steve Rothery che, nelle note di copertina, esprime la sua soddisfazione per il lavoro svolto. Ma come storia passata questo lavoro ha qualcosa da dirci. Dobbiamo sicuramente toglierci tanto di cappello, dopo aver ascoltato solo la prima canzone. "This changing face" ci fa subito capire con chi abbiamo a che fare. La line-up di quel periodo era composta da Peter Salmon (tastiere), Gary Chandler (chitarra e voce), Trevor Dawkins (basso), Mark Law (batteria sul primo lato) e Paul Alwin (batteria sul secondo lato). Ora i Jadis non sono più questi: Peter e Mark lavorano ad un progetto chiamato Ultraworld di cui so poco o niente (se non che sarà solo un divertimento per i partecipanti e non una fonte di guadagno... niente di serio!). Intanto il disco va avanti. Il primo pezzo si caratterizza per atmosfere soffuse con voce quasi celestiale. Le qualità vocali di Gary sono eccelse e la sua chitarra sprizza... gioia da tutti i pori. "Follow me to Salzburg" è un altro brano da non dimenticare. "Scratching the surface" (omonimo dei grandi Saga) mi risveglia, dandomi una scossa elettrica potente, mentre la seguente "Taking your time" riaffonda le radici in un certo Genesis-sound. "G13" è il mio pezzo preferito, accopiato a "Out of reach". Il primo è quasi uno strumentale con un fraseggio alquanto rude e melodioso allo stesso tempo. Il secondo si basa su un giro di chitarra stupefacente. La produzione del buon Steve in questo frangente è molto presente. La sei corde di Gary è in puro stile marillioniano. "Don't keep me waiting" prosegue la corsa verso la fine del vinile; la song si apre con una strana atmosfera che lentamente si dipana per lasciare posto ad un'altra grande canzone. Per chiudere "In the dark", e di nuovo riaffiora nella mia mente il fantasma dei vecchi Marillion. Non aspettatevi dei cloni, vi prego. Sono sani prog-men che, con una strizzatine d'occhio alla melodia, vogliono imporre il loro sound che in effetti è molto personale.
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Marco del Corno
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