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Il chitarrista Salvo Lazzara, dopo i quattro album con la prog band italica Germinale, dal 2007 comincia un percorso che ricorda solo a brevissimi tratti la realtà d’origine. L’artista siculo-romano, infatti, una volta sciolto uno dei gruppi di riferimento per gli amanti nostrani della scena progressive, intraprende un sentiero in apparenza meno complesso… Ma essendo quella in questione una strada verso la ricerca continua, si rivela come una via che difficilmente avrà termine. Ad oggi, quantomeno, non se ne riesce a scorgere nemmeno la linea d’orizzonte. Una peculiarità ulteriormente accentuata in questo quarto lavoro del progetto di Lazzara, che sviluppandosi in scenari indubbiamente notturni oscura qualsiasi agevole punto di riferimento e, come accade quando c’è qualsiasi alterazione di luce, trasmuta le forme di partenza in qualcosa che viene colto dai sensi in modo totalmente differente. Come ha avuto modo di dichiarare il chitarrista stesso, che qui si concentra essenzialmente sulle chitarre acustiche, “Imperfetta solitudine” presenta un filo conduttore narrativo, in cui vi sono esperienze musicali differenti, che pur non confondendosi l’una con l’altra riescono ad armonizzarsi. Una “contaminazione” di generi che noi definiremmo strana, misurata, confermando la “tensione filmica” di cui parla il suo creatore. Tensione che non si sarebbe potuta creare senza la presenza del polistrumentista Luca Pietropaoli (Outside The Cave ed Electric Posh), che soprattutto con i fiati crea un’atmosfera dal pesante respiro fumoso, seguendo senza alcun dubbio l’esempio dell’indiscusso maestro Miles Davis. Qui il cool jazz è immerso nel buio di un’autostrada solitaria più o meno lineare, illuminata e attraversata dai fari di un’auto che procede ad una velocità media, sempre costante, come se fosse un pilota automatico dotato di un perpetuo malinconico rammarico, per poi sentire il buio richiudersi di nuovo su se stesso dopo che i fari sono andati oltre. E tornare nella tipologia di silenzio che gli è più congeniale. Le iniziali “Barcarola” e la più vivace “Cerchi d’Acqua” sono l’introduzione a questo viaggio taciturno, in cui l’unica compagnia sembrano essere gli sporadici lampioni che di tanto in tanto ci illuminano il viaggio diretto chissà dove. Forse, molto più semplicemente, non c’è una meta ben precisa ma solo l’intenzione di mettersi in moto per far fluire qualcosa rimasto bloccato dentro per troppo tempo e farlo finalmente “lacrimare” con studiata lentezza, per assaporarne (masochisticamente?) il sapore. Ma aveva ragione chi scriveva che questa solitudine è imperfetta perché poi ci sono due figure, quella della chitarra e quella della tromba, che finiscono per incontrarsi nello stesso posto. Come due uomini con soprabiti lunghi e scuri, silenziosi, che si ritrovano per un motivo apparentemente casuale nello stesso posto e in modo assai paradossale si stanno facendo compagnia l’un l’altro. Anche se solo per quel breve ma dilatato momento. È il caso di “Danza Notturna” o “Calce e Carbone”, dove è tangibile questa doppia presenza, con figure che quasi si sfiorano senza mai toccarsi realmente. Le percussioni di Davide Guidoni (Daal), quando presenti, diventano spesso un commento percussivo discreto, che fa da insostituibile riempimento a dei suoni di questo buio così denso e ben prodotto – scientificamente, diremmo –, come in “La Colomba e il Pavone” e in “Prima dell’Estate”. In quest’ultimo brano sembra di essere su un molo all’imbrunire molto ma molto inoltrato, mentre si osserva un’imbarcazione che ci sta scivolando davanti silenziosa e dietro di essa si perde il fluire dei pensieri di una vita, aprendo inevitabilmente la porta a dei rimpianti che si pensava di essere riusciti a relegare non si sa bene dove. Nel mezzo, con “Tournesol” il viaggio aveva già toccato l’apice della sua sempre moderata intensità. Altri momenti significativi di un incedere che ricorda molto alcuni lavori in stile ECM (soprattutto Terje Rypdal o Steve Tibbets) sono “Scirocco” ed “Imperfetta Solitudine” (qui vi è un percorso leggermente intrapreso a suo tempo anche da Steve Morse), dove il rumore stesso del pizzicare delle corde è parte sapiente di una studiata elaborazione sonora, un po’ come si era fatto nell’introduzione di “La Strega” proprio dei Germinale; “Sensitive”, con i vocalizzi di Clarissa Belford, potrebbe essere uno strano tipo di mantra tardo crepuscolare, mentre nella conclusiva “Verso Casa” i fiati tornano a respirare pesantemente, facendo gravare la propria presenza in quella che è l’apparente dirittura d’arrivo. Si capisce bene come sia stato importante lo spunto dato a Lazzara dalla collaborazione tra Ralph Towner e Paolo Fresu, con quell’ampiezza che solo il limite di una grande isola può dare. La vicinanza col prog può essere individuata nell’esigenza avvertita da alcuni artisti anche affermati (come Franco Mussida della PFM, ad esempio) di ritrovare una maggiore profondità nella ricerca anche in territori minimali, essendo questi elementi niente affatto in contrasto l’uno con l’altro. Di sicuro l’ultima uscita dei Pensiero Nomade non è indicata a tutti e nemmeno per tutte le occasioni. Un consiglio: se avete un piccolo locale notturno sul mare, che inizia a lavorare nelle nottate d’estate ad ora tarda, non esitate a mettere su quest’album. Non vi pentirete dell’atmosfera che, ricreata sulla terrazza, verrà respirata e sorseggiata dai vostri visitatori.
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