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Torna il Pensiero Nomade di Salvo Lazzara, ex-Germinale che dal 2007 si è inoltrato verso una sperimentazione mai uguale a se stessa. Approccio decisamente differente dal comune e stereotipato modello di prog (rock), intraprendendo una via che porta l’esplorazione verso sentieri che definire inusuali è poco. Anche i titoli scelti durante questi anni sembrano voler guardare a parametri differenti, rivolti quasi al paradossale, all’ossimoro, mantenendo però una “musicalità” con cui non si sfocia mai nella cervellotica volontà di stupire fine a se stessa. Il precedente “Imperfetta solitudine” (2013) sfruttava l’acustica malinconia presente sia nel jazz che nell’ambient, scendendo fino al nucleo più intimo di essa; l’attuale “Da nessun luogo”, invece, si scrolla di dosso la pesante coltre del suo predecessore e a fatica tenta di esternare le emozioni nervose che vanno pian piano prendendo conformazione. Lo fa affidandosi stavolta ad un’elettricità molto sui generis, in cui i suoni si amalgamano per favorire sempre l’estraneazione dell’ascoltatore da questo mondo, magari per scoprire che certe metriche si colgono meglio… immaginandole. Eppure, “Dove comincia il giorno” sembra in un primo momento ripartire dal “respiro” musicale con cui si era interrotto il lavoro di due anni prima; è solo il sagace punto di congiunzione, che deve essere citato per avere nozione oggettiva che ci si sta distaccando da quello che ormai è un vecchio schema. Il pianoforte, con la sua ripetitività crescente, ricrea la sensazione della luce diurna che va prendendo forma nello scenario dell’oscurità in dissoluzione, fino a manifestarsi con forza evidente e poi assestarsi nell’ambiente circostante. Si continua con “A tensione costante”, i cui fiati suonati da Luca Pietropaoli e Alessandro Toniolo rimangono comunque vicini a “Imperfetta solitudine”. Ma le cose cominciano a cambiare ancora una volta. Si ha la sensazione di essere in un film come “Blade runner”: una pellicola teoricamente d’azione, scandita invece da dei ritmi lenti che vanno assimilati, vissuti, in una babilonia di colorazioni, suoni, persone; un mondo che sta collassando sul suo stesso affollamento, in cui vi sono soggetti che “…hanno visto cose che voi umani non avete mai visto” e dove l’imprevisto scorre silente a fior di pelle. Imprevisto rappresentato qui dai due Greenwall che entrano in formazione: Andrea Pavoni (piano, synth, basso, chitarra e programmazioni), con cui Lazzara stringe subito un proficuo patto creativo, e soprattutto Michela Botti, la quale dà voce ai testi scritti dallo stesso Salvo ed estrapolati da un testo letterario che forse un giorno vedrà luce. Dopo i primi due strumentali, iniziano i brani cantati. Primo fra tutti “Più lontano, più forte”, le cui dissonanze sembrano spiragli di porte che si aprono, per poi spalancarsi di colpo su scenari incontrollabili. La seguente “Niente, finalmente” pare dal canto suo descrivere la fortissima tensione dovuta… al Nulla, al vuoto dell’esistenza scaturito da un’ansia che opprime. E poi c’è “La coda dell’occhio”, con una intonazione vocale da gothic nordico e romantico, anche minimale, assieme a Lazara che si concede una coda strumentale alle sei corde degna delle diavolerie più tecnologiche di Frippiana memoria. “Da nessun luogo” presenta dei vocalizzi e dei suoni che proiettano in un mondo di sensazioni astratte, col pianoforte che dopo quattro minuti comincia a trasportare verso atmosfere più concrete. Dopo altri due minuti entra la voce di Michela, che narra quello che forse è il testo più bello di tutto l’album, con i vari strumenti capaci di commentare le parole facendo cadere il proprio suono, via via, come cascate sempre differenti. “Il verso che non trovo” è cantata assieme ad Andrea Pavoni, presentando un finale con musica solenne, da reami lontani e perduti. C’è poi spazio anche per “L’apparente allegria” e “Cercalo in fondo agli occhi”. Oltre ai musicisti fin qui nominati, da citare anche il sostanziale apporto dell’altro pianista, Fabio Anile, e del batterista/percussionista Davide Guidoni (Daal). Rispetto al lavoro del 2013, Pietropaoli qui riveste un ruolo meno evidente, emblema della mutata scelta musicale, che proprio come un nomade tocca nuove terre senza mai fermarcisi più di tanto. Non si vuole affermare che questo sia un album irrinunciabile e a volerci pensare bene sono ben pochi ad esserlo realmente; si vuole “solo” mettere in luce che vi è un grande sforzo creativo, che se non vissuto nel corretto modo potrebbe far sembrare i singoli brani come dei frammenti di qualcosa che non è stato realizzato appieno. Scendendo in profondità si capisce che non è così; forse, tutto ciò è riconducibile ad un altro particolarissimo gruppo italiano di ricerca come gli Zita Ensemble. Nel suo insieme, “Da nessun luogo” potrebbe accompagnare la lettura dei dialoghi del mistico Shihāb al-Dīn Yaḥyā Sohravardī, filosofo persiano fondatore della teosofia della luce, in cui l’incontro con le Intelligenze angeliche era sempre il preludio al viaggio di illuminazione interiore… verso il Non-luogo. In un primo momento si rimarrà spiazzati. Dopo… chissà?
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