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A quanto pare, lo stakanovista Erik Norlander approda al settimo album solista, comprendendo il live e l’ottimo rifacimento strumentale di vecchi brani con “The galactic collective” (2010). Una raccolta speciale in cui venivano risuonati in presa diretta pezzi estrapolati dagli album pubblicati a proprio nome, da quelli della moglie Lana Lane ed anche dei Rocket Scientists. Non si è voluto cominciare con questo lungo preambolo solo per riempire spazio, ma solo per fare brevemente luce sulla carriera di un musicista che ha composto e prodotto oltre quaranta album, suonando le parti di tastiera anche sui lavori a nome Ayreon e Space One dell’amico olandese Arjen Anthony Lucassen, di cui sembrerebbe comunque la risposta statunitense. Ma è poi tutto oro ciò che luccica? Già, perché le doti tecniche sui tasti d’avorio sono indiscutibili e non si vuole certo criticarlo né per l’eccessiva bravura e né per il desiderio di metterlo in mostra, come sembra faccia tanto piacere agli “inquisitori” della critica musicale; diciamo che le strade seguite contemporaneamente dal virtuoso in esame sono tante, quindi può capitare di non produrre materiale di qualità costantemente alta. Peraltro, non sempre dietro l’appariscenza si cela qualcosa di concreto, e questo segna un punto (pesante) a favore dei suoi detrattori. “Surreal” vorrebbe continuare sulla stessa falsa riga di “The galactive collective”, solo che ai tempi si trattava di materiale già edito da ben tre esperienze differenti, opportunamente selezionato e quindi risuonato (con l’ausilio dei medesimi musicisti). Qui, invece, si tratta di materiale inedito, che per la sua ridondanza entusiasmerà sicuramente i neofiti del genere, travolti dalla cascata di note di cui a suo tempo Yngwie J. Malmsteen fu maestro con la chitarra; per chi invece ha già sentito e risentito questa musica strumentale fortemente neoclassica, il pericolo di avvertire un gusto “stucchevole” durante l’ascolto è sempre in agguato. Peraltro, la lunghezza di ciascuna composizione non scende mai sotto i sette minuti, senza colpi di genio particolari, appesantendo così l’ascolto. “The Party’s Overture” è un’introduzione romantica, in cui si distingue il pianoforte, ma che riscontra le pecche sopra riportate. La seguente “The Galaxy Collectors” è decisamente più corposa, col basso di Nick LePar in evidenza; Norlander suona le parti migliori quando passa all’organo e questa sarà una componente presente su tutto l’album, mettendo in risalto la parte maggiormente rock. Gli assoli di chitarra ad opera di Alastair Greene arrivano solo dopo sei minuti, con una timbrica tagliente, per poi approdare ad un finale corale che fa seguito ad una breve stasi. “Suitcase and Umbrella” è una composizione lenta e malinconica, le cui parti migliori sono quelle affidate alle dita di Greene, grazie alle quali lo stesso Norlander ha la possibilità di creare musica valida nei vari duetti. “Unerthly” si apre invece con sonorità da reami esotici, tra percussioni ad opera di Greg Ellis e passaggi di chitarra, passando per atmosfere da film fantascientifico ambientato nelle sabbie, che però, per quasi nove minuti – nonostante le interessanti premesse –, non mette in evidenza parti soliste degne di nota. La title-track è l’unico brano cantato (guarda caso, dalla moglie Lana Lane). Da rimarcare l’ottima prova dell’ospite Jeff Kollman, chitarrista noto per tecnica abbinata a gusto musicale, che qui certo non si smentisce; ma da menzionare ancora una volta i passaggi di Norlander all’organo, per un brano che comunque si dilunga troppo nei suoi quasi undici minuti. Stesso minutaggio per “El Gran Final”, che subito si presenta bella energica e rock, ma che poi finisce anch’essa per durare decisamente troppo. Nel complesso, sembrerebbe che Erik Norlander abbia voluto ricreare delle musiche capaci di poter suggestionare e portare alla mente episodi cinematografici ad effetto. Non sempre questo riesce, pur non mettendo mai in discussione le capacità dei musicisti coinvolti e l’ottima produzione. Bella la grafica ed il booklet interno. Pare che fosse dal 2004 che il buon Erik non producesse più musica originale a suo nome. Gli si può benissimo dire “ben tornato”, ma l’intensità e varietà dei suoi Rocket Scientists è decisamente un’altra cosa.
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