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Con quattro album in studio (l’ultimo è di recente uscita) ed un live pubblicato alcuni mesi fa, i genovesi de La Coscienza Di Zeno sono ormai un punto di riferimento importante nell’ambito del progressive italiano degli ultimi dieci anni. Qualitativamente sempre al top con qualche piccolo “classico” nel loro repertorio (“Gatto lupesco”, “Acustica felina”, “Sensitività”, “Giovane figlia”, le prime che ricordo…) si ripresentano in quest’ultimo scorcio di 2018 con “Una vita migliore”, album che conferma, ce ne fosse bisogno, la piena maturità artistica della band. Alle solite e solide certezze di sempre e cioè l’affidabile Gabriele Guidi Colombi al basso, l’estroso Stefano Agnini alle tastiere (e da sempre paroliere principale del gruppo; meno in quest’ultimo lavoro), il solido Andrea Orlando alla batteria (ascoltatevi magari anche il suo recente esordio solista…), l’effervescente Luca Scherani anche lui alle tastiere e l’ugola d’oro Alessio Calandriello, si è aggiunto, in punta di piedi, ma già ben inserito, il chitarrista Gianluca Origone che non di rado ha “griffato”, con la sua sei corde, momenti salienti di alcuni brani. Numerosi anche i musicisti-ospiti presenti ad occuparsi di archi, sax, flauti, tromba, oboe, violoncello, voci e… glockenspiel. “Lobe iste calabu” (una frase senza significato pronunciata, pare dal “bambino” Gabriele Guidi Colombi) apre l’album in modo frizzante e “sfacciato”: trattasi, infatti, di uno strumentale arioso che vede protagonisti ora le chitarre acustiche, gli archi ed i flauti, ora l’ensemble rock con i primi “vagiti” di Origone con la CDZ. Davvero un promettentissimo inizio. Con “Il posto delle fragole” entra in scena la voce di Calandriello: meno “urlatore” che in altre occasioni (nella title track ad esempio) ma sempre con un ottimo “vestito della festa”. Brano in perfetto stile CDZ con le bizzarrie di Scherani, una solida sezione ritmica e con Origone che non passa inosservato con pregevoli interventi alla chitarra elettrica. Splendido il finale “intimista” per piano e voce. “Danza ferma” ci mostra altre influenze come se il menestrello Branduardi incontrasse il prog sinfonico od il prog sinfonico che incontra Branduardi… come preferite. Ottimo brano con chiari rimandi folk. Ancora Origone protagonista nelle prime battute di “Mordo la lingua” ed anche di qualche bel “solo” lungo i sei minuti del brano. Soliti svolazzi di tastiere, ottima la ritmica e la voce, ma qualche perplessità dal punto di vista melodico, come se il pezzo mancasse di qualcosa. Si ritorna prontamente in quota con “L’aspettativa del bimbo scuro”. Sax, violini e clarinetto assecondano le tastiere, notevole il crescendo ritmico nella seconda parte del brano, eccessivamente “verbose” e poco “cantabili” le liriche. La title track è la più lunga dell’album con i suoi oltre dodici minuti ed è anche quella in cui le corde vocali di Calandriello sono messe più a dura prova. Pur cavandosela, al solito, egregiamente, anche questa traccia è liricamente troppo abbondante e l’ascolto risulta piuttosto pesante. Per fortuna i numerosi inserti strumentali di valore contribuiscono ad alleggerire non poco la fruizione. La barocca “Vico del giglio”, breve (neanche tre minuti) strumentale che profuma tanto tanto di Banco chiude in bellezza la raccolta. Un album di valore, è fuor di dubbio. Rimane qualche perplessità per i tre titoli citati, eccessivamente “carichi”, ma anche la certezza che il trittico iniziale (“Lube iste calabu”, “Il posto delle fragole” e “Danza ferma”) presto entrerà a far parte dei classici della band. Comunque sia la “Coscienza” non tradisce. Mai.
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