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Sorprende il fatto che nonostante la collaborazione ultradecennale con Steve Hackett, gli ungheresi Djabe non siano molto conosciuti e seguiti dagli appassionati del prog. La costante presenza al loro fianco del grande chitarrista, infatti, avrebbe dovuto quanto meno fare da traino alla loro carriera in quest’ambito. Non solo… La loro proposta musicale, oltre a toccare sempre picchi qualitativi notevoli, è piena zeppa di caratteristiche che possono attirare facilmente chi segue il prog con una certa attenzione. Prendiamo l’album “Forward”, uscito nel 2014 e prevalentemente strumentale. Già la title-track che apre il cd, complice la presenza della Hungarian Symphony Orchestra Miskolc, ci porta in pieni territori di rock sinfonico, con una partenza di stampo classico. Poi, dopo tre minuti esclusivamente orchestrali entra anche il gruppo e si prosegue con ritmi vivaci, cambi di tempo e divagazioni jazz-rock, con i fiati in bella evidenza e tastiere e basso a ritagliarsi intriganti spazi. Dopo questa sorta di ouverture seguono altre otto composizioni di notevole interesse. Segnaliamo innanzitutto le tre in cui figura Steve Hackett. “Lava lamp” ci porta in quei sentieri di world music in cui i Djabe si muovono a meraviglia. Si tratta di quasi sei minuti di perfette combinazioni tra strumenti acustici ed elettrici, impreziositi da un assolo breve, ma frenetico e molto particolare dello storico chitarrista dei Genesis. “New words”, invece, oltre ad essere il pezzo più lungo del lotto con i suoi otto minuti e cinquanta secondi, è anche quello più bello e con costruzione più ardita: inizio in cui su sfondi orchestrali si danno il cambio la chitarra acustica, il violino, il didgeridoo e le tastiere; passaggio più maestoso dove Hackett si inserisce alla perfezione con un bell’assolo dai toni epici; conclusione d’atmosfera con suoni ambientali e curiosi vocalizzi. Questo affascinante momento del disco dovrebbe davvero entusiasmare chi ama il progressive rock, con i suoi rimandi sinfonici, certe melodie ariose che possono rievocare l’Anthony Phillips di “Tarka” e con quel finale in cui si può avvertire anche l’influenza di Peter Gabriel. L’ultimo brano con Steve è “Wind tale”. Questo è uno di quei casi in cui l’anima world dei Djabe si sposa alla perfezione con quella più prog del chitarrista (autore dell’ennesimo assolo magico con il suo “marchio” ben evidente), con i suoi saliscendi sonori ed un’impressionante ricchezza timbrica. Da segnalare che la registrazione di questa traccia era stata iniziata nel 2004, con la presenza del polistrumentista Andras Sipos (impegnato con congas, rainmaker, shaker e xilofono), scomparso poco tempo dopo. Solo per la realizzazione di “Forward” la band ha deciso di rimetterci mano e completarla, quasi in omaggio al suo vecchio compagno di avventura. Per quanto riguarda gli altri brani presenti merita sicuramente menzione “Life spirit”, una sorta di mini-suite di otto minuti e mezzo suddivisa in tre parti. Inizio elegante giocato tra orchestra e chitarra elettrica (ancora viene da pensare a Phillips), poi una netta variazione verso i quattro minuti spinge verso un prog sinfonico-romantico di qualità, con l’ombra dei Genesis che aleggia piacevolmente. Più passa il tempo più si nota come i Djabe siano un gruppo difficile da etichettare. Si notano sempre le caratteristiche della loro proposta più legate alla world music, ma gli abbondanti legami con il prog, il jazz-rock e la fusion che sono sempre presenti e persino gli sconfinamenti nella new-age di classe contribuiscono a rendere ancora più pregevole la caratura della band ungherese.
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